Il "Salvimaio": una modesta riflessione sul giornalismo italiano
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Il "Salvimaio": una modesta riflessione sul giornalismo italiano

Una caratteristica che colpisce nelle analisi della situazione politica è infatti il pregiudizio ideologico. Che è sempre foriero di interpretazioni fuorvianti, di confusioni e avvelenamenti

Matteo Salvini e Luigi Di Maio
Matteo Salvini e Luigi Di Maio
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

25 Maggio 2018 - 20.22


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Confuso e costernato dalla situazione politica del nostro incomprensibile Paese, mi aggrappo alla lettura dei giornali per cercare un filo logico, un appiglio di senso. Certo, illudersi di trovare sulla stampa nazionale un’informazione super partes, lucida e non tarata dall’ideologia e dal pregiudizio, dalla difesa di precisi interessi, significa essere dei poveri ingenui, o al più degli inguaribili ottimisti.
La prima sensazione che si ricava da queste letture è che le categorie analitiche applicate dai tanti soloni pontificanti dai pulpiti giornalistici siano ormai superate dal dato reale, da una società e una politica post-ideologica, che segue delle logiche diverse da quelle cui siamo da sempre abituati. E cogliere e mettere a fuoco queste sconcertanti novità è tutt’altro che facile. È anzi un’impresa complicatissima, poiché adeguarsi intellettualmente alla velocità dei cambiamenti presuppone uno sforzo cognitivo notevolissimo, il mettere in gioco le proprie coordinate intellettive, i propri convincimenti, la propria formazione. Un’impresa improba, che però andrebbe tentata se si ha la volontà di capire, spiegare ai propri lettori una realtà in continua ridefinizione, e non ci si intende limitare a livorose giaculatorie.
La novità di due forze politiche sulla carta diversissime tra loro, Lega e Movimento 5 stelle, che cercano di mettere a frutto i voti raccolti cercando una complicata intesa per governare insieme un Paese scisso e diviso anche sulle previsioni del tempo, è certo una novità da analizzare e da capire. Ma la comprensione non passa dal preconcetto ideologico, dalla preclusione intellettuale, dal giudizio precostituito e dallo scherno sprezzante di chi si sente portatore di verità e di intelligenza.
Una caratteristica che colpisce nelle analisi giornalistiche della situazione politica è infatti il pregiudizio ideologico. Che è sempre foriero di interpretazioni fuorvianti, di confusioni e avvelenamenti, e lo è soprattutto nella fase storica che stiamo vivendo, dove l’ideologia ha perso il peso preponderante che ha sempre avuto nelle società dei paesi occidentali. Salvini e Di Maio sono personaggi post-ideologici, le formazioni politiche che guidano non sono fondate su una specifica e riconoscibile ideologia: seguono quindi logiche differenti da quelle che siamo abituati ad osservare nel fare politico. Comprendere queste logiche, definirne l’impatto sulla società, sulla cultura: su questo dovrebbe concentrarsi un analista politico, dotandosi di strumenti cognitivi adeguati, allargando i propri interessi agli studi che si focalizzano sui cambiamenti epocali in atto, prodotti in primis dalla tecnologia. Nello specifico: si tratta di logiche meramente spartitorie di un potere da ricollocare? O del tentativo, per quanto goffo e inadeguato, di cercare nuove strade, sperimentare modi diversi di fare politica? Oppure qualcos’altro?
Alle lampanti difficoltà analitiche della stampa nostrana si somma poi la pratica del giornalismo governativo, la consuetudine dell’encomio o della denigrazione acritica, la difesa degli interessi di questo o quel potentato: la feccia del giornalismo italico, purtroppo non circoscritta a pubblicazioni di seconda schiera, ma rilevabile in quotidiani di primissimo rilievo, a molte delle cosiddette “firme”.
Tutto ciò è quanto mai evidente nel modo in cui la stampa italiana (ma anche le televisioni) si è posta nei confronti del premier incaricato, Giuseppe Conte: un guazzabuglio di basse allusioni, malevole suggestioni, falsità maliziosamente frammiste a dati reali, dubbi e perplessità seminati con subdola astuzia. Di dati di fatto, non inquinati dal pregiudizio e dal calcolo, pochissimi. Da un lato sono quindi fioccate le pretestuose denigrazioni (un “Signor Nessuno”, un taroccatore di curriculum e millantatore di studi, un burattino nelle mani di Salvini e Di Maio); dall’altro, le preclusioni appunto ideologiche (ma come, questo signore non è né di destra né di sinistra?), i falsi storici (per Mario Calabresi “sta per nascere un soggetto strano, mai visto: un governo politico con un premier tecnico”: e i governi Ciampi, Dini, Monti cos’erano, esimio direttore?), i dubbi velenosi sulle sue capacità, il tutto condito dalla diffusione di notiziole inessenziali sulla sua vita privata, degne della più grossolana stampa scandalistica (abbiamo così appreso che il futuro premier è nato in casa grazie ad un’ostetrica marchigiana, che in taxi viaggia sul sedile posteriore, che è devoto di San Pio, che non è mai sguaiato, ha garbo e convinzioni, è severo ma disponibile, e che assomiglia all’immagine della “Resurrezione di Cristo” di Mantegna…).
Insomma, la miopia intellettuale, il servilismo, lo scadimento culturale e morale macchiano una parte consistente del giornalismo italiano. E a chi, ingenuamente, cerca di farsi un’idea del garbuglio che sta soffocando una nazione, di districarsi dall’ “effetto baraonda dei commenti”, viene dolorosamente in mente quella frase di Henri Béraud: “Il giornalismo è un mestiere nel quale si passa la metà del tempo a parlare di ciò che non si conosce e l’altra metà a tacere ciò che si sa.”
O ancora, l’amara constatazione di Lorenzo Milani: “E qual è mai il giornale che scrive per il fine che in teoria gli sarebbe primario, cioè informare, o non invece per quello di influenzare in una direzione?”

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