Il monte Morrone brucia da 13 giorni: muore il bosco del Parco della Majella e tutti zitti
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Il monte Morrone brucia da 13 giorni: muore il bosco del Parco della Majella e tutti zitti

La protezione civile dell'Abruzzo aveva peraltro denunciato lo scorso giugno di non possedere mezzi aerei adeguati per lo spegnimento di incendi boschivi ingenti

Monte Morrone
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1 Settembre 2017 - 09.32


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Il monte Morrone brucia ormai da tredici giorni e solo ieri, 30 agosto, il fronte dell’incendio ha cominciato ad arretrare verso la montagna. L’allerta resta alta perché le fiamme hanno raggiunto la valle e diversi comuni, Sulmona è stata toccata dal fuoco e respira fumi tossici. In tredici giorni sono andati in fumo più di tremila ettari di bosco del Parco Nazionale della Majella.

E’ facile comprendere che si tratta di un incendio pianificato ad arte: più di dieci i focolai, per gli innesti i piromani hanno usato gatti e bottiglie incendiarie scegliendo una zona di riserva integrale ben nota per il patrimonio di biodiversità. Chi ha appiccato il fuoco ha avuto la complicità della siccità estiva e soprattutto lo smembramento del corpo Forestale dello Stato. La protezione civile dell’Abruzzo aveva peraltro denunciato lo scorso giugno di non possedere mezzi aerei adeguati per lo spegnimento di incendi boschivi ingenti così come quelle di Basilicata, Molise, Marche e Umbria. A partire da queste oggettive difficoltà tecniche chiedersi come sia possibile che i piromani abbiano potuto ripetutamente agire indisturbati è da ingenui. Il territorio colpito è vasto, ma una linea preventiva adeguata ed un tempestivo intervento avrebbero forse potuto evitare il peggio, è banale ed è anche troppo facile dirlo adesso, mentre si osserva una terra arsa che ormai è solo un cumulo di cenere fumante e scheletri di alberi carbonizzati.

Non posso fare a meno di chiedermi, mettendo da parte l’ingenuità, come mai un simile disastro ambientale non è ritenuto abbastanza importante da occupare pagine e pagine dei maggiori quotidiani? Come mai una simile catastrofe non catalizza l’attenzione dei telegiornali e come mai nessuno affronta il tema mandando in onda interviste puntuali a chi sta vivendo con il crepitio delle lingue di fuoco e sta respirando fumi altamente dannosi da tredici giorni.

Forse una notizia come questa non fa bene all’audience? Non fa effetto uno scoiattolo morto tra le mani di un volontario? Non scatena morbosità diffusa come uno stupro o un omicidio efferato o un terremoto? Eppure, anche questo è uno stupro, uno stupro ambientale, ma pur sempre uno stupro. Un incendio doloso non è la Natura che si ribella e si muove senza avere troppa cura di una umanità distratta e molto più feroce di quello che vuole credere, non è un terremoto nel cuore della notte, quando è più facile stringersi perché si è solo delle vittime.Invece questo stupro, come anche i tanti altri incendi di questa estate italiana, è uno stupro con premeditazione e ha responsabilità tutte umane: per questo dovremmo parlarne e scriverne allo sfinimento. Perché ne siamo tutti responsabili se ci limitiamo a chiedere giustizia dei piromani da una tastiera e nascosti da un comodo profilo social invece di pretendere prevenzione e organizzazione per preservare il “nostro” territorio.

Che poi, “nostro” non è. Non sono “nostri” gli animali, le piante e le montagne, se mai “nostro” è il dovere di tutelare e rispettare.

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