"L'ultima battaglia di Filippone": l'articolo di una giornalista donna che ignora le vere vittime, moglie e figlia
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"L'ultima battaglia di Filippone": l'articolo di una giornalista donna che ignora le vere vittime, moglie e figlia

Mi rivolgo a te Marina Corradi, quasi una lettera aperta, una discussione, rispettosa della tua sensibilità sull'argomento, ma anche accesa sul perché un assassino per te è diventato "un pover uomo che lotta"

Filippone e la moglie uccisa
Filippone e la moglie uccisa
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Claudia Sarritzu Modifica articolo

24 Maggio 2018 - 08.40


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E poi ti imbatti in un articolo, pubblicato dall’Avvenire, scritto da una donna, e ti cadono le braccia a terra, ripensi al tempo speso nelle scuole a spiegare cosa è un femminicidio, perché è importante raccontarlo come tale, che non si tratta di tragedie perché le tragedie avvengono per caso per disgrazia appunto, gli uomini che odiano le donne no, non sono un caso. Sono il risultato di una società patriarcale e nemica del genere femminile. Il titolo mi spaventa “L’ultima battaglia di uomo”…

Mi rivolgo a te Marina Corradi, quasi una lettera aperta, una discussione rispettosa della tua sensibilità sull’argomento (ognuno è libero di avere una sua idea) ma anche accesa sul perché un assassino per te è diventato “un uomo che lotta” come è scritto sul titolo. Ho raccontato per anni gli operai che combattevano per il loro posto di lavoro nel Sulcis in Sardegna, mi chiedo che c’entra Filippone, che ha ucciso la moglie e poi lanciato nel vuoto la figlia assassinando anche lei, con un uomo che combatte. Ti chiedo perché tutta questa enfasi, questa pietà e comprensione per chi ha ammazzato due donne che avevano la sola colpa di averlo amato come marito e come padre. E le vittime? Perché per loro non sento compassione leggendo le tue righe. Non è una polemica sul nulla la mia.

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Ti scrivo perché sono preoccupata.

Il tuo pezzo mi ha scossa, terrorizzata, sai cosa faccio quando scrivo di argomenti così delicati? Mi chiedo se offendo la memoria di qualcuno, se per caso il mio modo di scrivere fa passare messaggi sbagliati. Il messaggio che arriva forte e chiaro leggendo il tuo pezzo è che “poverino era un buon uomo”, impazzito da una vita difficile (non si comprende neppure quali sarebbero queste disgrazie che lo avrebbero portato a tanto) e che alla fine ha deciso di farla finita perché “poverino”, sempre lui, (non la moglie e la figlia) si era sentito in colpa.

Perché da donna non hai provato empatia per le vittime, perché l’hai provata per l’ennesimo femminicida? “La moglie è morta, la bambina è quella piccola chiazza chiara inerte, laggiù fra i cespugli. L’ha buttata forse per non lasciarla sola in un mondo che gli pare terribile, l’ha buttata con l’idea di seguirla immediatamente e morire insieme? Ma, adesso, non ce la fa. Il nulla, sotto, gli comunica un orrore insuperabile. La vita di Fausto Filippone in un’ora, non sappiamo ancora come, è stata sconvolta da una frana di morte. Eppure questo pover’uomo ancora ha in sé una fiammella che gli sussurra: non farlo, vivi, c’è ancora una speranza. Quando alza gli occhi al cielo, è forse per una preghiera? Che immane lotta, al chilometro 389 dell’A14, mentre le auto dietro sono ferme in coda, e nessuno suona il clacson. Di sotto, fra chi è accorso a vedere, ci si racconta di una famiglia normale, mai una lite. Un lutto, sì, la mamma di lui morta recentemente, dopo una lunga malattia, e il figlio fattosi più silenzioso“.

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Leggo e rileggo queste tue parole e prego senza avere fede che nessun adolescente maschio si imbatta in questo tuo articolo. Vorrei che i ragazzi che incontro nelle scuole a cui insegno come leggere le notizie della violenza sulle donna senza cadere nella trappola del “poverino il carnefice e non la vittima”, imparassero che un Uomo che lotta è un’altra cosa. Che le battaglie non sono quelle che portano a uccidere una bambina e una donna. Che il fatto che si sia suicidato non trasforma l’assassino in una vittima da giustificare. Chiudi il tuo pezzo così “L’epilogo della tremenda battaglia di un pover’uomo. Il cielo sopra, immenso e muto. Eppure, ne sei certa, una misericordia immensa ora abbraccia quel soldato travolto e caduto“.

Attendo una tua risposta, sperando di arrivare alla stessa conclusione. Non si solidarizza con un uomo che uccide moglie e figlia. L’empatia è una cosa seria. E la battaglia contro la violenza sulle donne una guerra che tutte noi dobbiamo combattere insieme soprattutto sui giornali.

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