Il Milanese imbruttito, ovvero l’Italiano abbrutito
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Il Milanese imbruttito, ovvero l’Italiano abbrutito

Il personaggio assomma in sé i peggiori istinti asociali: è razzista, intollerante, egoista, ipocrita, perennemente incazzato con il mondo...

Il milanese imbruttito
Il milanese imbruttito
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

14 Febbraio 2018 - 22.41


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Su YouTube circola una serie di video non poco divertenti, dal titolo “Il Milanese imbruttito”, una parodia dei vizi e dei vezzi attribuiti ad una certa “milanesità” che si è andata diffondendo negli ultimi anni. Tra luoghi comuni e dati di fatto, gli sceneggiatori mettono in scena un personaggio (interpretato da un credibilissimo Germano Lanzoni) che incarna negli atteggiamenti, nel modo di vestire e soprattutto nel linguaggio un tipo meneghino, “imbruttito” dal modo di vivere e da un ambiente circostante in cui non si ritrova più, un individuo che assomma in sé i peggiori istinti asociali: è razzista, intollerante, egoista, ipocrita, perennemente incazzato con il mondo, integerrimo nel pretendere dagli altri il rispetto delle regole pur essendo il primo ad infrangerle, un individuo che si esprime con un linguaggio scarno e ripetitivo (“cazzo”, “figa”, “fatturato”, “giargiana”) e compulsivamente dedito al lavoro.
Il concetto base degli ideatori della serie è chiaro: ammiccano allo spettatore dicendo, guardate un po’ com’è ridotto ’sto poveraccio, si crede figo e al passo coi tempi, e invece è un uomo solo, alienato, irrancidito. È proprio questo a suscitare il riso: il riconoscimento di un tipo psicologico piuttosto diffuso, da cui però prendiamo le distanze, cogliendone il lato ridicolo. Ma a suscitare la comicità è anche un altro elemento: il ricorso schietto e palese al politicamente scorretto. Le gag che lo vedono protagonista sono infatti un susseguirsi di offese e aggressioni verbali verso chiunque egli consideri diverso da sé, estraneo ai suoi “valori”: i terroni e il loro modo di parlare, gli immigrati, in generale i non integrati e tutti quelli che fuoriescono dalle sue striminzite coordinate sociali. Cioè il mondo intero, trattandosi di parodia. Ora, però, in quelle aggressioni e nello sprezzante razzismo molti tendono a riconoscersi, pensando: diamine, finalmente c’è qualcuno che ha il coraggio di dire come stanno le cose. È un po’ come avveniva con quel personaggio creato dal comico Paolo Hendel, Pravettoni, che senza la minima vergogna articolava le più spregevoli idee razziste e schiaviste, riscuotendo in taluni la più aperta approvazione, della serie: però, questo Pravettoni in fondo dice delle cose giuste. Anche lì, come nel caso del “Milanese imbruttito”, l’ironia che sottende il personaggio e il suo linguaggio viene completamente perduta, la presa di distanza da una palese esagerazione s’azzera: ecco subentrare l’Italiano imbruttito.

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Proviamo infatti a uscire dalla sfera geografica cui è confinato questo personaggio e a proiettarlo sulla scena nazionale. Vi è nei suoi comportamenti una chiara contiguità con i reiterati rigurgiti di fascismo cui assistiamo sconcertati da anni, con il regredire nell’inciviltà prodotto dal progressivo abbassarsi del livello di guardia, dall’ingigantirsi della tolleranza verso gli attacchi alle basilari regole democratiche di una società che vuole dirsi civile. Solo a soffermarsi sul clamoroso episodio di Macerata: avrebbero reagito così gli italiani delle generazioni che ci hanno preceduto, spaccandosi in due tronconi, i pro e i contro l’atto terroristico pianificato, meditato e rivendicato da un criminale? Certo, gli italiani si sono sempre spaccati in due, ma per ragioni di ideologia. In questo gravissimo episodio di ideologico non v’è nulla, se non la squallida strumentalizzazione dell’evento fatta dai politici di turno che per un pugno di voti venderebbero la propria madre, o l’esitante, blanda condanna da parte di chi si spaccia per leader di ideali progressisti.
La vicenda rappresenta una triste conferma di quel che purtroppo già sappiamo: il fascismo, cioè a dire l’intolleranza verso l’altro, lo sprezzo e l’odio per il diverso, la pratica della violenza come soluzione dei contrasti, permea il nostro vivere quotidiano, si è infiltrato come un liquido venefico nelle arterie della nostra società, e minaccia ognuno di noi, anche chi se ne crede immune. Non c’è bisogno di sfogliare le pagine dei giornali, di leggerne la cronaca: basta guardarsi intorno, ascoltare quello che dice il nostro vicino di casa, l’uomo o la donna che ci siedono accanto sull’autobus o in treno, il crocchio di persone al bar che commenta un certo episodio, il collega incarognito dai problemi familiari, l’amico che ha relegato in cantina gli ideali progressisti in cui ha sempre creduto.
Sappiamo di cosa si alimenta questo veleno. Innanzitutto, il fascismo si nutre della paura, la paura prodotta dalla perdita di sicurezze sociali (la sfera dei diritti: lavoro, salute, famiglia), e individuali (uno Stato che garantisca l’incolumità ai suoi cittadini, che li protegga dalle esplosioni di violenza), la paura generata da un ambiente umano e fisico stravolto, che stentiamo a riconoscere. E si nutre di ignoranza, di non conoscenza, e l’ignoranza presuppone il rifiuto, il rifiuto di capire, di compenetrarsi nell’altro, di comprendere le sue motivazioni, quindi le sue azioni. E l’una genera l’altra, e l’altra l’una, paura e ignoranza si perpetuano in un mostruoso incesto scatenando i più bassi istinti dell’essere umano e minando l’aggregazione sociale.
Questa però è solo una parte del dramma, e neanche la peggiore. Perché in realtà c’è chi specula sugli istinti, chi per proprio calcolo alimenta la paura, l’ignoranza, costruendo su quei due mostri sociali carriere politiche, visibilità, fama. Ad un tale livello non è più una mera questione di istinti, ma di manipolazione, di ignobile sfruttamento delle fragilità umane per i propri turpi fini. Questo è l’aspetto più grave e pericoloso: abbiamo davanti una classe dirigente non soltanto incapace di governare, di costruire un tessuto sociale in cui non alberghino paura e ignoranza, ma che, al contrario, su di esse basa la propria legittimazione ed il proprio potere. Di ciò dovremmo prendere coscienza, per opporci con ogni risorsa intellettuale e morale a queste dinamiche perverse, distruttive del corpo sociale. È l’antica storia del mondo, e c’eravamo illusi di averla relegata nel passato.
Ed eccoci invece sempre più vecchi e incanagliti, stritolati da un costante calo delle nascite, alle prese con la mancanza di lavoro e ogni forma di sussistenza, con la distruzione sistematica dei diritti sociali e della dignità, attanagliati da una paura pervasiva, alla mercé di una classe politica sempre più crassa e impreparata, a tal punto impauriti da non avere più nemmeno la tensione morale di condannare immediatamente e inequivocabilmente i devastanti attacchi alle più comuni libertà individuali e democratiche, privi persino del coraggio di scendere in piazza per manifestare per i più basici principi civili, proprio quando bisognerebbe affermare con forza titanica i valori su cui si fonda questa sempre pericolante democrazia. Valori giammai negoziabili, su cui è impossibile mediare, perché ogni mediazione, ogni concessione, ne determina lo scadimento, produce la disgregazione del patto sociale su cui ogni repubblica democratica ha la sua ragion d’essere. La libertà e la democrazia non sono doni elargiti da chissà chi, ma valori fondanti da conquistare, coltivare, insegnare, in una pratica costante, dura e rigorosa, senza concessioni a questo o a quell’autoritarismo, alle tentatrici chimere razziste e di chiusura sociale. Compito immane da affrontare, soprattutto in questi tempi di crisi totale, ma al quale non v’è alternativa se non la resa all’imbarbarimento.
E così, tra uno sbadiglio sanremese e un gol occhieggiato alla tivù ci siamo svegliati, e ci siamo ritrovati imbruttiti. Come smascherati dal neofascismo dilagante, risorto da ceneri mai estinte, che abbiamo alimentato con le nostre paure, la nostra ignoranza, le nostre omissioni, le nostre concessioni, da civili che credevamo di essere appariamo quel che siamo: immaturi e incivili. Siamo lungi dall’essere il vagheggiato popolo di brava gente, cordiale, accogliente, solidale e comprensiva, che si oppone al moralmente marcio, all’eticamente disdicevole, che ha in orrore la politica malvagia e truffatrice che prolifera sulle nostre debolezze: quella politica è il nostro specchio.
È questa l’Italia di oggi, imbruttita. È questo l’Italiano di oggi, imbruttito, privo persino della carica ironica d’un Pravettoni o del “Milanese imbruttito.” Più che imbruttito, anzi, un Italiano abbrutito.

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