I bambini di Gaza intrappolati e il sogno di far sorridere Yasmine
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I bambini di Gaza intrappolati e il sogno di far sorridere Yasmine

Una testimonianza che inchioda il mondo alle sue, alle nostre responsabilità. Che impone l’immediata attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza sul cessate il fuoco a Gaza. 

I bambini di Gaza intrappolati e il sogno di far sorridere Yasmine
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Marzo 2024 - 15.31


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Una testimonianza che inchioda il mondo alle sue, alle nostre responsabilità. Che impone l’immediata attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza sul cessate il fuoco a Gaza. 

I bambini di Gaza intrappolati in un ciclo di sofferenza

Di seguito il racconto del portavoce dell’Unicef James Elder durante il briefing stampa di ieri al Palazzo delle Nazioni di Ginevra.

“Oggi vorrei parlare di due questioni importanti che la gente qui a Gaza dice essere fondamentali per la loro sopravvivenza. La sicurezza di chi si trova a Rafah e la consegna degli aiuti. Oggi Rafah è irriconoscibile a causa della congestione, delle tende agli angoli delle strade e dei terreni sabbiosi. La gente dorme per strada, negli edifici pubblici, in qualsiasi altro spazio vuoto disponibile. Gli standard globali per le emergenze umanitarie dicono che un bagno dovrebbe essere utilizzato da un massimo di 20 persone. A Rafah c’è circa un bagno ogni 850 persone. Per le docce, il numero è quattro volte superiore: una doccia ogni 3.600 persone. Si tratta di un’infernale mancanza di rispetto per i bisogni umani fondamentali e per la dignità.

Gli stessi standard dicono che le persone hanno bisogno di 15 litri d’acqua a testa, ogni giorno, e un minimo assoluto di tre litri solo per sopravvivere. Quando sono stato qui a novembre, le famiglie e i bambini della Striscia di Gaza facevano affidamento su tre litri o meno di acqua al giorno per persona. Oggi, in media, le famiglie intervistate hanno accesso a meno di un litro di acqua sicura per persona al giorno.

Anche la vicina Khan Yunis è irriconoscibile, anche se per un motivo diverso: non esiste quasi più. In 20 anni di lavoro alle Nazioni Unite non ho mai visto una tale devastazione. Solo caos e rovina, con macerie e detriti sparsi in ogni singola direzione. L’annientamento totale. Muovendomi per quelle strade, sono stato sopraffatto dal senso di perdita. 

Il che ci riporta a Rafah. E al continuo parlare di un’operazione militare su larga scala a Rafah. Rafah è una città di bambini. 600.000 bambine e bambini. Un’offensiva militare a Rafah? “Offensiva” è la parola giusta. Rafah ospita alcuni degli ultimi ospedali, rifugi, mercati e sistemi idrici di Gaza rimasti.

E poi c’è il nord. Ieri sono stato di nuovo a Jabalia. Decine di migliaia di persone affollano le strade portandosi la mano alla bocca, il segno universale della fame. Quando sono arrivato nella Striscia di Gaza una settimana fa, c’erano centinaia di camion con aiuti umanitari salvavita, in attesa di raggiungere le persone che ne hanno urgente bisogno, ma dal lato sbagliato del confine. Centinaia di camion Onu/Ong sono attualmente bloccati in attesa di entrare a Gaza. 

Ricordo che la classificazione integrata della fase di sicurezza alimentare (IPc) della scorsa settimana ha rilevato che la carestia è imminente nel nord di Gaza. Gaza ha ora la più grande percentuale di popolazione, ovunque, a ricevere la classificazione più grave da quando l’organismo ha iniziato a monitorare nel 2004.

 Prima di questa guerra, la malnutrizione acuta nella Striscia di Gaza era rara, con meno dell’1% dei bambini sotto i 5 anni di età colpiti. Oggi un bambino su tre sotto i 2 anni soffre di malnutrizione acuta. È chiaro che il nord ha bisogno di enormi quantità di cibo e di trattamenti nutrizionali, con urgenza. Ma siamo chiari: i nostri sforzi per fornire questi aiuti sono ostacolati.

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 C’è un vecchio punto di passaggio esistente, Erez, che potrebbe essere utilizzato e che si trova a 10 minuti da coloro che affrontano la carestia. 10 minuti. Se lo aprissimo, potremmo risolvere la crisi umanitaria nel nord del Paese in pochi giorni. Ma rimane chiusa.

Tra il 1° e il 22 marzo, un quarto delle 40 missioni di aiuti umanitari nel nord di Gaza sono state negate. L’Unrwa è ora bloccata nel consegnare cibo al nord, eppure il 50% del cibo destinato al nord è stato consegnato dall’Unrwa.

Siamo chiari: gli aiuti salvavita vengono ostacolati. Si stanno perdendo vite umane. La dignità è negata. La privazione, la desolazione forzata, significa che la disperazione pervade la popolazione. E le persone si sentono a pezzi a causa degli attacchi incessanti.

La gente spesso si chiede se c’è ancora speranza. Qui tutto è agli estremi e questa domanda non è da meno. Da un lato, una madre mi dice che ha perso i suoi cari, la sua casa e la possibilità di nutrire regolarmente i suoi figli; tutto ciò che le rimane è la speranza. Ieri, poi, l’Unicef si è seduto con degli adolescenti, molti dei quali hanno detto che desiderano così tanto che il loro incubo finisca, che sperano di essere uccisi.

A Gaza si dice regolarmente l’indicibile. Da ragazze adolescenti che sperano di essere uccise, a chi dice che un bambino è l’ultimo sopravvissuto di tutta la sua famiglia. Questo orrore non è più unico qui.

  In mezzo a tutto questo, tanti palestinesi coraggiosi, generosi e instancabili continuano a sostenersi a vicenda. Anche le agenzie Onu e l’Unicef continuano a farlo. Per l’Unicef, continuiamo a lottare per ogni bambino. Acqua, protezione, nutrizione, riparo. L’Unicef è qui.

Come abbiamo sentito ieri: il cessate il fuoco deve essere sostanziale, non simbolico. Gli ostaggi devono tornare a casa. La popolazione di Gaza deve poter vivere.

Nei tre mesi trascorsi tra le mie missioni, ogni numero orribile è aumentato drammaticamente. Gaza ha infranto i record dell’umanità per quanto riguarda i suoi capitoli più oscuri. L’umanità deve ora urgentemente scrivere un capitolo diverso”.

Il miracolo di un sorriso

Ne racconta da Beirut, per La Repubblica, Mauro Pompili: “Nonostante Osama al telefono ce la racconti con passione fatichiamo a visualizzare la scena di bambine che sorridono e giocano in un piccolo spazio di quell’enorme campo d prigionia che è, ormai, Rafah. “Arrivano lentamente richiamati dalla nostra musica. Ma non arrivano di corsa e gioiosi come fanno i bambini di tutto il mondo, sul loro viso le smorfie della paura, della fame e spesso del dolore delle ferite che hanno riportato. Dopo un po’ di tempo, però iniziano a sorridere poi a giocare e a ballare co noi.” Osama Issan è uno degli allievi della ‘ Free GazaCircus’, la scuola circense che negli anni scorsi era nata nella Striscia con l’obiettivo di coinvolgere i giovani palestinesi.

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Le sole armi dell’allegria e del gioco. Da ottobre lui e molti altri allievi cercano disperatamente di alleviare le sofferenze dei bambini di Gaza con le sole armi a loro disposizione: l’allegria e il gioco. “Per qualche minuto durante gli spettacoli – ci dice Osama – i bambini dimenticano la guerra. Trovano un motivo per respirare, per sentirsi di nuovo vivi. Giocano e urlano come vogliono. Spero che questo li aiuti a capire che non sono solo vittime, ma che hanno anche il potere di reagire e non solo di sopravvivere all’orrore”.

La Striscia “Un cimitero per i bambini”

 Riusciamo invece, purtroppo facilmente, a visualizzare i volti dei bambini di Gaza. Sono gli stessi che avviamo visto nei campi profughi del Sudan, in quelli della Bosnia e che spesso qui in Libano vediamo negli insediamenti dei profughi siriani. Questa volta, però, c’è qualcosa di diverso, qualcosa che rende se possibile ancora più disumano ciò che sta avvenendo sotto i nostri occhi: la dimensione della tragedia. Secondo le Nazioni Unite la Striscia di Gaza è diventata il posto peggiore sulla terra per un bambino. “Un cimitero per i bambini”, appunto, come l’ha descritto il Segretario Generale Guterres il 6 novembre scorso. Tre settimane dopo l’inizio della guerra, il numero di bambini uccisi durante i bombardamenti ha superato il bilancio annuale dei bambini uccisi nelle zone di conflitto dal 2019 in più di 20 Paesi.

I bambini morti sotto le bombe o per fame. Ad oggi, più di 13.200 bambini sono stati uccisi, rappresentando, insieme alle donne, più di due terzi delle vittime totali del conflitto. 17 bambini morti per fame “I bambini sono particolarmente vulnerabili agli effetti delle esplosioni. I loro corpi vengono scagliati più lontano, le loro ossa sono più fragili e, avendo meno sangue nei loro corp, sono maggiormente sensibili alle emorragie.” Ha dichiarato Jason Lee, direttore di Save the Children   nei Territori Palestinesi. Dall’inizio del conflitto, secondo le Nazioni Unite, ogni giorno in media dieci bambini hanno perso una o entrambe le gambe a causa dei bombardamenti e il 90% dei bambini sotto i cinque anni è affetto da una o più malattie infettive.

La sorte dei neonati

 “I neonati muoiono a causa della mancanza di assistenza sanitaria e le nascite premature sono aumentate vertiginosamente per lo stress.” Dice ancora Jason Lee. Nella Striscia di Gaza ogni giorno nascono circa 180 bambini, portando a circa 20.000 il numero dei bambini nati durante la guerra. “È qualcosa che non avevo mai visto prima a Gaza: bambini che frugano nelle discariche per raccogliere cibo, altri che trasportano taniche di plastica ai punti d’acqua – dice Jonathan Crickx, portavoce di Unicef – tutti i bambini nella Striscia di Gaza corrono un rischio imminente di carestia, mentre l’enclave sperimenta il peggior livello di malnutrizione al mondo. Fino ad ora come Unicef abbiamo già registrato 17 bambini morti per fame.”

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La misura della denutrizione

Per valutare la denutrizione il personale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite misura, come sempre, il diametro delle braccia dei bambini. Risultato: nel Sud, dove arriva la maggior parte degli aiuti, già il 5% dei bambini soffre di grave malnutrizione con rischi a lungo termine di anemia, problemi di crescita e di sviluppo cerebrale. Una situazione che colpisce il 15% dei bambini nel nord dell’enclave, sotto il controllo delle forze israeliane, mentre il 3% di loro soffre di deperimento, la forma più mortale di malnutrizione.

Avanzi di cibo lasciati dai topi

 “Le famiglie a volte sono costrette a cercare gli avanzi di cibo lasciati dai ratti e a mangiare le foglie per sopravvivere”, Far tornare a sorridere Yasmine Secondo l’Unicef, più di 17.000 bambini a Gaza sono separati dalle loro famiglie. Quando è possibile di loro si occupa la famiglia allargata, un vicino o anche qualche sconosciuto. Poi ci sono i minori “non accompagnati”, come Yasmine.

Il sogno di far sorridere Yasmine

“Il mio piccolo sogno è quello di far sorridere Yasmine.” Dice Osama. “A circa 8 anni, è arrivata qui una ventina di giorni fa da Gaza. Il bombardamento che ha ucciso tutta la sua famiglia gli ha anche portato via le gambe. Non ha più nessuno, non parla e a fatica riusciamo a farla mangiare. A volte piange silenziosamente, ma non riesce neppure a urlare. Non capisco perché voi giornalisti occidentali vi ostinate a chiamare questa cosa guerra. La guerra è fatta da adulti in armi che si combattono, quello che viviamo qui è un mattatoio, il tentativo di cancellare un popolo, la sua storia e il suo futuro”.

La speranza è un volo

Da BolognaToday: La reporter Nariman El-Mofty ha trascorso una settimana con alcuni bambini di Gaza e i loro accompagnatori. Ha viaggiato con le famiglie in ambulanza anche verso l’Istituto Ortopedico Rizzoli.  Il primo volo della vita dei piccoli palestinesi e i loro famigliari, raccontato su The New York Times.

Da Shaymaa, 5 anni, ferita nel villaggio di Al Mawasi, nel sud di Gaza, portata d’urgenza all’ospedale Nasser, dove i medici hanno subito deciso di amputarla. La mancanza di anestetici e di disinfettanti li ha costretti a eseguire un intervento chirurgico rapido. Non c’è tanto tempo, i feriti sono tanti. A febbraio, dopo lunghi negoziati è potuta uscire da Gaza, insieme alla zia. È arrivata al Rizzoli, lì i medici hanno concluso che Shaymaa avrebbe avuto bisogno di una seconda amputazione per riparare il danno. “Viviamo un confronto diretto con la guerra, perché i nostri pazienti ricevono le notizie direttamente da Gaza – aveva detto alla ‘Dire” Caterina Guerra, caposala dell’ortopedia pediatrica del Rizzoli – cerchiamo di fare del nostro meglio, ma nonostante siamo stati preparati con congruo anticipo, agli occhi dei bambini che hanno visto la guerra non ci si abitua mai, non riesco più a guardare il telegiornale. Il fardello di questa esperienza diretta mi basta per vivere la guerra in maniera importante. Non riuscirei a sostenere emotivamente altre notizie”. 

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