Oggi, 3 dicembre 2011, è il centesimo compleanno di Giovanni Rota Rinaldi, e questa ricorrenza viene celebrata mediante una notevole presenza del Compositore nelle stagioni concertistiche e nei teatri di mezzo mondo. Ad esempio, una rassegna articolata in 10 (10!) concerti sinfonici monografici presso l’orchestra Verdi di Milano (a cura del direttore d’orchestra Giuseppe Grazioli ha riscosso una notevolissima presenza di pubblico e vivo successo (sono stato presente a un paio di questi incontri). La serie concertistica verteva soprattutto sui più importanti lavori sinfonici, senza trascurare ovviamente una scelta tra la immensa produzione di musica per lo schermo. So che questo enorme sforzo produttivo porterà anche a una vasta pubblicazione in CD, di cui sono da poco terminate le sessioni di ripresa.
Che c’è di strano? Che si tratta di un compositore del Novecento! Ma la cosa è ancora più strana se si considera che la produzione “seria” di Rota è stata generalmente trattata con boriosa sufficienza dalla critica più accreditata, che lo ha spesso liquidato come compositore di musica da film, e per questo trascurabile.
Se, com’è ovvio, la fama internazionale di Rota è dovuta soprattutto alle (indimenticabili) colonne sonore, l’ascolto di alcune pagine “serie” rivela un compositore per nulla sprovveduto, per nulla antiquato, per nulla trascurabile: bastano a dimostrare questa tesi anche solo due pezzi come il Concerto per archi e l’opera Il Cappello di paglia di Firenze. Alla recente rappresentazione di questo lavoro presso il teatro di Cremona il pubblico si è lasciato andare a un autentico delirio (anche qui ero presente), nonostante la “novità” e il livello generale della rappresentazione, sicuramente non scadente, ma neppure eccelso.
Il musicologo e critico musicale Elvio Giudici fa eccezione rispetto a molti suoi colleghi, e nel suo L’opera in CD e in video (Il Saggiatore, 2007) da del Cappello un’immagine tanto lusinghiera quanto assolutamente adeguata: Nel campo operistico, non c’è dubbio come il Cappello di Paglia di Firenze resti il capolavoro di Rota, oltre che uno dei maggiori del teatro lirico novecentesco. Scandaloso, né più né meno, che la RAI non abbia mai trasmesso la videoregistrazione […] L’opera è tra i gioielli più luminosi di tutto il repertorio lirico italiano, riassumendone stili, linguaggi, umori e debordante vena melodica tutti rifusi al fuoco d’una intelligenza e sensibilità poetica meravigliose: che sia relativamente poco frequentata è una delle tante assurdità che popolano il teatro d’opera […] si pone come pietra miliare della nostra cultura musicale.
Infine, l’augurio del titolo è rivolto a tutti noi: cento di questi giorni, in cui si ravvisano finalmente le gambe corte di molta critica miope o ideologizzata, contro l’occhio lungo di un compositore che non si è mai curato dell’indifferenza del mondo accademico e della produzione musicale (che oggi cominciano a ribaltare i propri giudizi).
Pur con l’understatement che gli era naturale, Rota è stato un autore che ha dato testimonianza forte di una irrinunciabile fedeltà verso la musica e verso se stesso, mentre non tutti hanno avuto lo stesso coraggio.
Prepariamoci, poiché insieme a Rota altri autori devono ancora ottenere un più equo riconoscimento.