La "dimenticabile" serata in onore di Zeffirelli

Il regista riceve il premio Roma Film Festival. Ma tra ritardi, pressappochismo e gaffes nulla riesce ad essere dignitoso. [Stefano Torossi].

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19 Dicembre 2011 - 19.09


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di Stefano Torossi

16 dicembre 2011

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Che peccato! Non si sa se essere arrabbiati o offesi. Una cosa sembra certa. In Italia forse, a Roma di sicuro, non si riesce a fare niente di dignitoso. Ok, va bene, non esageriamo; di serio. Forse è ancora troppo. Diciamo di professionale. Ce la passate almeno questa?

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Intanto, l’unico taxi presente al posteggio ci molla. “Io là nun ve ce porto. Co’ quer traffico!” Primo punto per Roma. “Là” è la Casa del Cinema, una bella struttura con due sale di proiezione e un simpatico bar, a Villa Borghese, oltre la cima di Via Veneto (Dolce Vita, ricordate?) che ospita oggi la Serata d’Onore per Franco Zeffirelli con consegna del Premio Roma Film Festival. Venerdì 16 dicembre, ore 19 precise, inviti difficilissimi da ottenere.

Naturalmente stiamo già lì alle 18,45 (quando impareremo? Siamo a Roma, non a Zurigo). Ancora quasi nessuno presente. Alle 19.30 tutti al piano di sopra dove ci sarà la premiazione. Alle 19,45 arrivano tre bottiglie di prosecco, buono, bisogna ammetterlo, siamo riusciti ad assaggiarlo, e qualche vassoio di pizzette. Un lampo e sono sparite.

Alle 20,10 si va in sala. Prima fila di ospiti famosi: Rosi, Wertmuller, Fracci, Verdone, Albertazzi. Gli altri a macchia di leopardo, un sacco di poltrone vuote, che così rimarranno per tutta la serata. Una visione inutilmente desolante. Nessuno che abbia pensato di riempirle con i tanti rimasti in piedi ai lati, forse non invitati, ma comunque presenze umane, anzi chiamiamoli comparse, data la natura della serata, utilizzabili da un buon capogruppo.

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Arriva Zeffirelli, in sedia a rotelle, e qui l’organizzazione ci serve un’altra chicca. C’è un microfono solo, che naturalmente passando di mano tremula in mano malferma (data l’età media) ci spezza i messaggi:” …festare il nostro omaggio al maestr…”, “…tti qui per offr…”. Ci sembra di ricordare che da queste parti, in simili eventi del passato i microfoni erano tanti quanti gli artisti, che, notoriamente loquaci, qualcosa di interessante da dire ce l’hanno sempre. Sono finiti i soldi anche qui, si vede.

Va bene. Due parole di presentazione del nuovo direttore Caterina D’Amico, poi l’autore del bel documentario che vedremo dopo, Adriano Pintaldi, nel presentarlo si esibisce in una crediamo involontaria gag con microfono che gli scivola, fogli che gli cadono di mano, bambino in prima fila che corre a raccoglierli, e applausi a quest’ultimo (chi è?). La Presidente Polverini, con la brevità e buona scelta delle parole che dobbiamo riconoscerle, fa per consegnare il premio a Zeffirelli, al posto dell’annunciata Fanny Ardant, assente come d’altra parte l’annunciatissimo Placido Domingo, ma l’oggetto non si trova. Dove sarà? Qualche attimo di panico, poi salta fuori. E così via di gag in gag, altro che Hollywood Party. Momenti di pura delizia quando il microfono tocca a Zeffirelli, e ci rimanda le sue parole dirette e come sempre poco diplomatiche (delizia ancor più intensa quando nell’intervista filmata gli sentiamo dare dello stronzo (testuale) all’attore William Hurt responsabile dell’atmosfera infelicissima (testuale) delle riprese di Jane Eyre). Naturalmente avevamo già letto la dichiarazione del premiato di averlo dato a destra e a manca in passato, pur di fare carriera. Ce ne importa qualcosa? Diremmo di no.

Fine del documentario, ripetiamo, molto ben fatto, ed ecco che maleducatamente ma seguendo una simpatica abitudine locale tutti si alzano per tagliare la corda, i cellulari ricominciano a squillare, chi si accalca intorno al festeggiato e chi svicola, mentre, forse credendosi non visto, ma stagliato in un nitido controluce sullo schermo bianco, Carlo Verdone, rivolto a qualcuno in platea, fa il gesto della mano a pendolo, ormai diventato di comprensione comune, che significa “Annàmosene!”. Beccato, è costretto a fare un discorsetto (piuttosto goffo) di saluto a Zeffirelli. Microfono ad Albertazzi che indicando il maestro esclama: “Abbiamo qui un genio, anzi Eugenio!” Era dalle elementari che non sentivamo questa battuta. E’ proprio vero che la senilità, specialmente quella incontrollata riporta all’infanzia.

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In uscita, omaggio ai presenti: un lussuosissimo catalogo intitolato: “Franco Zeffirelli – L’arte della mise in scène”. La nostra modesta conoscenza del francese ci ha sempre fatto credere che si dicesse “en scène” e non “in scène”, specialmente sulla copertina di un lussuosissimo catalogo. I casi sono due, anzi tre: o la nostra maestra di lingue ci ha imbrogliati fin da piccoli o loro (quelli del catalogo) hanno fatto finta di non accorgersene, o non se ne sono accorti davvero.

PS. Riassumiamo le motivazioni dell’immaginario Premio “Cialtrone d’Oro” conquistato anche questa sera dalla nostra capitale. Eccole. Numero uno: il servizio taxi. Due: la puntualità. Tre: l’organizzazione. Quattro: la linguistica. Cinque: il pressapochismo. Sei: la maleducazione. Vittoria piena e indiscutibile.

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