Ha parlato nei giorni in cui cresceva la preoccupazione di un attentato di Cosa nostra ad un altro magistrato, quello che più ostinatamente legge ogni virgola del pasticciaccio della trattativa. E nel racconto dell’ultimo collaboratore ci sono conferme e strade nuove di indagine. Zarcone ha ammesso di avere avuto un ruolo di primo piano nel mandamento di Bagheria: “Io ero incaricato dei rapporti con i palermitani, Messicati Vitale si occupava dei contatti con i mandamenti fuori Palermo e Di Salvo delle estorsioni e dei lavori all’interno della famiglia di Bagheria.
Il vero capo, però, era Nicola Greco che si relazionava con Di Salvo Giacinto”. L’idea che la mafia abbia messo in atto tutte le manovre per arrivare ad un nuovo ”attentatuni”, come nell’estate del’93, è suffragata anche dal racconto dall’ultimo collaboratore di giustizia, uno che la mafia l’ha vissuta dall’interno, ai vertici, e dividendo i segreti criminali di chi comanda in questo momento le famiglie di Cosa Nostra.
Quelli che sono fuori, con Totò Riina che preme, dal carcere, per fermare Nino Di Matteo e gli altri magistrati palermitani che lavorano all’esplosivo affaire della trattativa Stato-mafia. Palermo vive la tensione dei giorni più bui, vertici al palazzo di giustizia, via vai di investigatori per mettere a punto una macchina di alta sicurezza attorno ai magistrati. Si sa, una fonte confidenziale credibile ha raccontato di esplosivo in gran quantita raccolto dalla femiglie palermitane per mettere assieme un attentato ancora più devastante di Capaci e via d’Amelio. Il Viminale si muove, i magistrati non hanno altra scelta: lavorare e lavorare ai fascicoli che fanno paura a Cosa Nostra e non solo. E raccolgono voci, segnalazioni e l’utile racconto di uno di spessore come Zarcone.
Per i suoi rapporti con i palermitani, Zarcone è stato citato anche al processo d’appello al clan di San Lorenzo. In primo grado arrivò una raffica di condanne. Condanna anche per il presunto reggente, Giulio Caporrimo – condannato a dieci anni – tanto autorevole dal presiedere la più importante riunione della Cosa nostra palermitana degli ultimi anni. Come in un film, a Villa Pensabene. Caporrimo era uscito dal carcere nell’aprire 2010 dopo avere scontato una lunga condanna per mafia. Un attimo dopo, subito in sella, nuovo capo della cosca di San Lorenzo. Ed essere a capo del clan di San Lorenzo vuol dire dettare legge all’interno dell’intera Cosa nostra palermitana. E’ del febbraio 2011 il grande vertice nel ristorante-maneggio vicino al velodromo, cuore di san Lorenzo. E’ il 7 febbraio 2011: a tavola, oltre a Caporrimo, ci sono Giovanni Bosco, Giuseppe Calascibetta ( poi eliminato ), Salvatore Seidita, Alfonso Gambino, Gaetano Maranzano, Amedeo Romeo, Stefano Scalici, Cesare Lupo, Nino Sacco e Giuseppe Arduino.
Una bella tavolata, con tanti bei propositi e progetti criminali da far tremare. Ed è stato Zarcone, recentemente, in video-conferenza davanti alla Corte d’appello, a raccontare del ruolo di Caporrimo. La mafia, si sa, ama la tavola, la buona tavola. Mangiando e bevendo, si fanno affari, si regolano i conti, si scoprono i tradimenti, si promuovono i picciotti e si fanno progetti. Per sopravvivere, per ingrassarsi, e per eliminare avversari e uomini dello Stato che si frappongono tra loro e le immense quantità di denaro che sono abituati a scalare. Zarcone ha raccontato un secondo incontro, il 7 giugno del 2011 al ristorante “Ma che Bontà”, a Palermo.
Anche questa volta, tra una portata e l’altra ( i conti salati, se mai ci dovessero essere, non spaventano certo le tasche dei boss ), oltre allo stesso Zarcone e Caporrimo, Tommaso Di Giovanni e Nicola Milano di Porta Nuova, il famoso Antonino Messicati Vitale di Villabate, Cesare Lupo di Brancaccio, Luigi Giardina, cognato di Gianni Nicchi, Fabio Chiovaro della Noce e Gaetano Maranzano, reggente della famiglia di Cruillas.
Zarcone ne aveva già parlato, ne riparla in aula. Dice di una serie di “personaggi misteriosi”, senza nome. Non perché non li sappia. Sa, e come, ma su quei”personaggi misteriosi” si sta indagando, e il lavoro di chi indaga consiglia il top secret su quelle identità. Quel che importa è che quei nomi li ha fatti ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia. Perché la collaborazione?”Per cambiar vita!”, ha risposto. E il suo racconto potrebbe determinare cambiamenti imprevedibili nella vita degli uomini che stanno nell’ombra, mafiosi e non, e alla stessa Cosa nostra che disperatamente, quando è in crisi, pensa ad organizzare il botto.