Rezza e Mastrella, l’indipendenza dell’arte e il conformismo della ragione

Su Fratto X, sul libro Clamori al vento e sul dibattito nel quale l’artista tenta di sfuggire al critico. Una lezione a teatro. [Antonio Cipriani]

Antonio Cipriani
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27 Novembre 2014 - 16.27


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di Antonio Cipriani

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Non sono qui per scrivere su Fratto X di Antonio Rezza e Flavia Mastrella. E neanche sul loro libro Clamori al vento che è appena uscito per i tipi del Saggiatore. Perché del genio Rezza sul palco non vale la pena parlare: è troppo forte, si può solo consigliare ai lettori di non perderselo. Come si può augurare al viaggiatore del mondo di avere la fortuna, una sera qualunque, di poter incrociare i passi di Flavia, il suo sguardo, la delicatezza dei modi, le sue scarpine rosse e il sorriso.

Neanche del libro perché è appena uscito, non l’ho letto e non posso dire alcunché se non avventurandomi sulla profezia e sulla fiducia. Il che non sarebbe neanche male. Andiamo a teatro solo per congiungere il qui e ora delle nostre vite appese allo smartphone con l’oscurità magica dello spazio di arte e luci, di memoria che si costruisce a ogni gesto nel presente della scena.

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Sono invece qui a scrivere della serata del dibattito per la presentazione del libro di Rezza e Mastrella, dopo Fratto X a Milano, nel Teatro dell’Elfo. Quando all’accendersi delle luci ho visto la spensieratezza di Scott sparire nell’attesa del dibattito. E la bionda che abbiamo immaginato nuda – grazie Antonio – rivestirsi felice e uscire di scena come una stellina di Hollywood. (Dovete vederlo per cogliere le citazioni poetiche, ispirate da quel pizzico di sana cattiveria che Rezza Mastrella mettono nei loro lavori).

Poi ho visto Flavia Mastrella con la sua bellezza silenziosa salire sul palco. E due giovani signore intellettuali, di non so quale provenienza, provare ad assestare il colpo diabolico allo spettatore insultato e felice – l’anello debole della catena, caro Rezza, come darti torto – rapito e tenuto in ostaggio a sentire divagazioni filosofiche ed estetiche, domande di dieci minuti che contenevano tutte le risposte tranne quelle giuste. Negazioni a testimoniare, con il no reiterato nella domanda, la richiesta di sicurezza che l’interlocutore fosse in linea o condividesse il senso. No?

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Ecco, meravigliosamente Flavia faceva scivolare questi tentativi di aggancio (no?…) e rispondeva per conto suo, eludendo le trappole della giornalista (critica?) che voleva conferma sulle sue supposizioni. Poi Rezza. Il ragazzo non è accomodante e schivava le domande come un furetto salterino. Uno spettacolo, dopo lo spettacolo. Con momenti di assoluta perfezione scenica, tipo dopo una domanda di un quarto d’ora, tra mille: no? e scatole cinesi di significati, lui ha alzato la testa e ha detto: ho capito che de ‘sto libro non ne venderemo manco una copia.

Che dire, poi alla fine l’artista ha cercato di spiegare che non si può spiegare l’arte. Che lui e Flavia sono molto di meno quando rispondono alle domande di quello che sono quando parlano con il loro lavoro di perfezione. E questo è un po’ anche il bello e il segreto. L’artista parla con quello che fa, non serve che spieghi e teorizzi per ore: meglio che faccia. E la bellezza è nel gesto, nella parola, nell’azione sulla scena, nell’inspiegabile della poesia e del teatro. In quel quid inafferrabile che rende il momento dell’arte qualcosa di sublime, che permette di vedere oltre l’artista stesso e oltre le consuetudini e le messe in questione di chi desidera irreggimentarlo dentro tendenze o mode.

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Dico che finché ci saranno in giro scardinatori di luoghi comuni e banalità come Antonio e Flavia (e tanti altri poeti, artisti, teatranti, filosofi indipendenti) tutti noi ci sentiremo più sicuri. E’ il conformismo, soprattutto se colto e pieno di citazioncine e ammiccamenti, che ci mette ansia. A proposito di Fratto X.

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Da sinistra Franca Ferrari, Flavia Mastrella e Antonio Rezza a Rimini durante il dibattito Ma anche no!

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