Con un progetto site-specific, Amos Gitai fa convivere grandi fotografie, piccole sculture, video d’archivio e i film recenti come l’ultimo «Rabin, the Last Day», mettendo in luce diverse sfumature delle sue ricerche intorno a quel 4 novembre 1995, quando tre proiettili colpirono a morte il primo ministro israeliano e Premio Nobel per la pace, al termine di una manifestazione a Tel Aviv.
«Quei proiettili — ha dichiarato Gitai — hanno decapitato le speranze di portare a termine il processo di pace tra Israele e Palestina, hanno segnato il ritorno alla violenza politica e modificato in negativo il percorso della storia non solo del mio paese ma di tutto il mondo».
Gitai, classe 1950, ebreo, avrebbe voluto ricalcare le orme del padre architetto, ma la Guerra del Kippur nel 1973 cambio la sua prospettiva: «Capii che è necessario essere cittadini attivi, testimoniare, denunciare — ha raccontato — e che l’arte ha il compito di sollevare questioni».
«Chronicle of an assassination foretold» (Cronaca di un assassinio annunciato) dedicato all’uccisione di Itzhak Rabin è un evento a cura di Hou Hanru con Anne Palopoli, al Maxxi di Roma fino al 5 giugno 2016.
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