William Kentridge, l’arte di togliere per aggiungere senso

Parla di se stesso e parla dell’arte, che è una cerniera delle emozioni che conquista un senso esclusivamente all’interno dell’esperienza personale. [Ivo Mej]

William Kentridge, l’arte di togliere per aggiungere senso
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12 Aprile 2016 - 09.05


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di Ivo Mej

“Johannesburg è geograficamente carente, non ha fiumi, né mari, né ghiacciai, eppure Johannesburg ha la sua categoria di sublime. Al pomeriggio, prima dei temporali, ci sono le nuvole. Non le dobbiamo riconoscere. Si fanno vedere e tu non puoi non vederle: ecco la testa di un cane, ecco una nuca tra le spalle…Io sono un bambino di nove anni che guarda le nuvole. E poi arrivano i temporali.”

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William Kentridge parla di se stesso e parla dell’arte. La sua e quella delle persone comuni perché l’opera d’arte è sempre un ponte tra quello che vorrebbe esprimere l’artista e quello che lo spettatore percepisce. E’ una cerniera delle emozioni che conquista un senso esclusivamente all’interno dell’esperienza personale.

Ascoltare questo sudafricano con un anacronistico pince-nez che parla della sua terra, di sé, della sua arte è in se stessa una esperienza emozionante.
“Abbiamo una strana relazione con ciò che eravamo da piccoli. Guardiamo le nostre foto con nostalgia ma quando eravamo bambini avevamo chiare le nostre emozioni, vedevamo le cose e ci sembravano ingiuste e volevamo cambiarle.”
Di certo, William Kentridge ha cambiato idea molte volte nel corso della sua carriera di artista e poi tutte le idee che aveva avuto le ha fuse insieme. “Da giovane mi dicevano di focalizzarmi su una sola cosa se volevo diventare un artista. Diversamente sarei sempre stato solo un amatore. Ho iniziato come pittore, ma le immagini erano troppo statiche per lui, allora ho fatto l’attore, poi il regista, poi ho creato pupazzi animati. C’è voluto del tempo per capire che dovevo fare tutto insieme per esprimere quello che volevo: una variazione continua delle immagini, come nelle nuvole di Johannesburg. Vedo la realtà come un processo in evoluzione. Le tecniche di un artista sono in fondo solo due: togliere o mettere. Se vuoi fare una statua o rimuovi il marmo finché la figura non spunta fuori oppure costruisci uno scheletro e aggiungi materia finché la figura non prende forma.”

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Sono ottanta le forme che l’arte di Kentridge ha preso a Roma, nel bel mezzo della città, sulle sponde di quella sinuosa fluida cicatrice che la attraversa tutta, il Tevere.

Ottanta figure alte fino a dieci metri e che corrono per 550 metri, tra i ponti Sisto e Mazzini. Neanche a dirlo, sono nate togliendo. Non sono dipinte, infatti ma grazie al lavoro di idropulitrici che hanno scavato negli scuri sedimenti batterici dei quali i muraglioni garibaldini sono rigogliosa coltura. ‘Triumphs and Laments’, trionfi e lamenti per tratteggiare la storia della Capitale tra vette e abissi. “I trionfi sono nella storia dell’arte, i lamenti in quella della politica” ci dice Kentridge e non gli si può che dare ragione pensando che ci sono voluti anni prima che tutti i permessi per realizzare l’opera fossero disponibili. Gloria e disastro: il senso della Storia, qui rappresentata in frammenti.
L’opera verrà inaugurata ufficialmente il 21 aprile, giorno del 2769 esimo compleanno di Roma.

La storia della città eterna avrà questa testimonianza assolutamente fugace, impermanente, precaria. “Non durerà più di cinque anni. Poi i batteri si riprenderanno il loro spazio e l’opera scomparirà.”

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Un’opera che è una moderna Colonna Traiana ma stesa su una parete e con i fatti disposti secondo una logica definita ‘diagonale’ dall’autore. Nessun senso cronologico. Si passa da Remo assassinato da Romolo a Pasolini assassinato all’idroscalo di Ostia. L’estasi di Santa Teresa è accostata al ritrovamento del cadavere di Moro nella Renault 4 rossa. Diagonali della Storia, appunto. “Una selezione delle cose che ho più amato di Roma”, spiega. “Il fiume lo associo all’idea di irripetibilità, della mutevolezza. Puoi immergerti solo una volta nella vita nella stessa acqua.”

“Cosa mi aspetto che i Romani vedano in questa opera? Vorrei che scoprissero le cose che io mi sono dimenticato.”

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