La storia dell'anarchico Passannante che attentò al re

Una tragica storia di ferocia, che grazie a tre cittadini di buona volontà oggi possiamo raccontare con meno vergogna grazie al teatro e al cinema.

L'immagine è di Francesco Cicconi
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17 Novembre 2016 - 11.20


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Il 17 novembre 1878 l’anarchico Giovanni Passannante, giovane cuoco lucano, dopo aver venduto la giacca per otto soldi, comprò un temperino, per un attentato al Re d’Italia Umberto I. Gli procurò qualche graffio, venne condannato a morte, poi graziato e sbattuto a marcire in una celletta sotto il livello del mare. In seguito, su interessamento di un parlamentare, da quella cella venne tirata fuori una larva d’uomo. Cieco e fuori di testa, venne rinchiuso in manicomio, dove morì poco dopo.
Un attentato dimostrativo che ebbe come risultato una pena ancor più dimostrativa.  Gli fu negata la sepoltura e sua testa mozzata venne richiesta dal Lombroso, che isolò cervello e cranio per i suoi studi. Esposti poi al Museo Criminale di Roma, i resti di Passannante troveranno riposo nel paese natale solo nel 2007 per il lungo e caparbio interessamento di tre idealisti, tre semplici cittadini che hanno incalzato per anni ben quattro ministri dell’Interno, fino ad ottenere – contro la stessa volontà del sindaco – la sepoltura di quei miseri resti. Un teatrante, un giornalista e un cantante hanno combattuto la loro battaglia con tutti i mezzi: in teatro e nelle piazze davanti a gente inconsapevole e compassionevole, nei ministeri, in situazioni grottesche, davanti a funzionari inconsapevoli e indifferenti. Ora i resti dell’anarchico Passannante riposano a Salvia di Lucania, paese che gli diede i natali, il cui nome dopo l’attentato fu mutato in Savoia di Lucania. Ma si sa, la storia del popolo alla lunga è più forte della storia istituzionale e gli abitanti ancora oggi si fanno chiamare salviesi. Di questa straordinaria vicenda racconta anche il film di Sergio Colabona: Passannante.

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