Forse svelato dopo secoli il mistero della 'lettera del diavolo'

Il testo, incomprensibile e di misteriosa composizione, fu reso noto nel 1676 da una suora di clausura. La vicenda ispirò a Tomasi di Lampedusa un passaggio del 'Gattopardo'

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Diego Minuti Modifica articolo

6 Settembre 2017 - 10.08


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Se Dio c’è ci deve essere anche il diavolo che, per rendere merito alla sua fama, oltre a passare le sue giornate aseminare il male nel mondo, da buon p.r. di sé stesso deve pure trovare il modo di pubblicizzare le sue attività. Sennò chi mai conoscerebbe la sua esistenza?
E d’altra parte la specificazione ”del diavolo” ha sempre avuto un suo fascino. Perché c’è stato un ”violinista del diavolo (Niccolò Paganini, per chi non masticasse la storia della musica), ”l’avvocato del diavolo” (che, oltre alla nota definizione, è stato anche Al Pacino, nell’omonimo film diretto da Taylor Hackford), la ”brigata del diavolo” (altro film di guerra), oltre ad una serie di rocche, castelli, ponti, borghi e piante varie e forse anche pietanze.
Ma c’è anche una ”lettera del diavolo” su cui, da secoli, ci si arrovella per comprenderne l’oscuro significato. Non per la sua costruzione, ma perchè sembra essere frutto di una illogica commistione di parole di provenienza incerta, di costruzioni lessicali che stravolgono ogni conoscenza, di riferimenti ed accostamenti che non hanno senso.
Si tratta di un documento che, secondo la tradizione, è stato scritto nel 1676 da una suora siciliana Maria Crocifissa della Concezione, che, alle consorelle basite nel vederla uscire sconvolta dalla sua celle, disse di averlo ricevuto direttamente dal Diavolo, in arte Satana.

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Diverse le provenienze attribuite al documento, perchè secondo alcuni la suora disse d’averlo ricevuto già redatto dal diavolo, secondo altri l’avrebbe scritto lei sotto la dettatura del signore degli Inferi che la pregò di autografarlo.
Fatto sta che quella lettera – di cui esisterebbero due copie, una  custodita nella catedrale di Agrigento, l’altra nel monastero di clausura di Palma di Montechiaro – è, da secoli, un enigma che ha messo alla prova fior di esperti ed affascinato personaggi quali Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che ne prese spunto per un passaggio del suo ”Gattopardo”.
Ora la verità (non tutta intera, forse mezza) viene da un gruppo di esperti, riuniti nel Ludum Science Center di Catania, che grazie ad un programma di decrittazione, ha in parte chiarito il contenuto della missiva resa nota da suo Maria Croficissa, che la Chiesa ha dicharato beata.
Nel programma sono state inseriti gli alfabeti greco, latino, runico e quello degli yazidi (sì, gli adoratori del diavolo, secondo i loro spietati avversari) con i quali la religiosa, non si sa bene come, visto che era una monaca di clausura, sarebbe in qualche modo entrata in contatto.
Mistero risolto? Lo decida chi, leggendo queste frasi, «Poiché Dio Cristo Zoroastro seguono le vie antiche e sarte cucite dagli uomini, Ohimé» e «Un Dio che sento liberare i mortali», se ne convinca. Per il direttore del Ludum center, Daniele Abate, la lettera potrebbe essere stata scritta dalla suora – non è chiaro se intenzionalmente o no – con un ”alfabeto preciso” frutto dell’inventiva della suora, mischiando simboli che conosceva.
Ed ecco allora che si giunge al punto fatidico: perchè?
Per Abate, potrebbe trattarsi di una conseguenza dello stress della vita condizionata dalle allora ferree regole della clausura o di un disturbo bipolare.
Ma, se così fosse, Satana non c’entra nulla, meritandosi l’appellativo di ‘povero diavolo’.

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