La cattedrale di Notre-Dame di Parigi non sarà mai più la stessa a causa dello spaventoso incendio che l’ha devastata. E pensare che circa duecento anni fa la chiesa gotica, simbolo della capitale francese, era stata salvata dal degrado e dall’incuria che rischiavano di comprometterne la struttura. In suo soccorso non scese in campo un architetto o un ingegnere, ma uno scrittore: Victor Hugo. E tutto grazie al celeberrimo romanzo Notre-Dame de Paris, uscito nel 1831 e ambientato nella Parigi basso-medioevale, al tempo di re Luigi XI di Francia.
Le parole di Hugo – In un capitolo Hugo scrive: “Senza dubbio è ancora oggi un maestoso e sublime edificio”. Ma, aggiunge, “così bello che è stato preservato con il passare degli anni, difficile non sospirare, non essere indignato per degradazioni, mutilazioni che il tempo e gli uomini hanno simultaneamente fatto al venerabile monumento, senza rispetto per Carlo Magno che aveva posato la prima pietra e per Filippo Augusto che aveva posato l’ultima”.
Il gobbo e la cattedrale – Un atto dunque d’amore verso un monumento simbolo che riporta alla memoria uno dei personaggi iconici di quel romanzo, dove appare come il vero protagonista della storia. Quasimodo è descritto come un essere deforme, guercio, zoppo, sordo per la sua prolungata vicinanza con le campane. Più comunemente, in quanto affetto da cifosi, è conosciuto con il soprannome de “il gobbo di Notre-Dame”. E’ lui che ha il compito di suonare le campane della cattedrale, nell’edificio dove vive nascosto da tutti e del quale è simbolo, cuore e anima.
Tutto partì da una scritto sul muro – La vicenda del “soccorso” di Notre-Dame è entrata a pieno titolo nella mitologia artistico-letteraria, assumendo quasi i tratti della leggenda. E, come ogni leggenda che si rispetti, anche quella della cattedrale francese ha un incipit degno. Si racconta che a spingere Hugo a scrivere il romanzo e, ancor prima, a risvegliare l’ammirazione per quel magnifico parto del genio dell’uomo sia stata una “semplice” scritta incisa sul muro di una torre: ANÁΓKH (Ananke). I caratteri greci, segnati con una calligrafia tipicamente gotica, colpirono l’autore romantico per il senso di tristezza e di ineluttabilità che esprimevano. La parola infatti identifica la dea del Fato ed è centrale anche nella trama.