Perché il Dantedì deve essere un augurio per il ritorno a Riveder le stelle

Questa giornata dovrebbe aiutare gli italiani ritrovare il senso dell’unità sociale che nel dopoguerra ci riportò, dalle macerie morali e materiali, all’Italia dell miracolo economico e della ricostruzione sociale.

Dante Alighieri
Dante Alighieri
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Giancarlo Governi Modifica articolo

25 Marzo 2021 - 15.26


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Sembra che l’Italia stia riscoprendo Dante, che non è stato mai dimenticato, ma ora le celebrazioni del settimo secolo dalla sua morte gli ha dato una popolarità come non aveva mai avuto, a livello mondiale. E per questo, il 25 marzo di ogni anno è stato istituito il Dantedì, un giorno in cui il sommo poeta sarà ricordato con i versi della sua poesia sublime, nelle scuole, nelle radio, nelle televisioni e in tutti i luoghi dove si diffonde cultura.
E’ stato scelta questa data di marzo, perché è il giorno in cui Dante si presume che inizi il grande viaggio della sua Commedia.
Un’opera complessa, gigantesca che comprende tutta la cultura del mondo suo coevo, per scrivere la quale dovette inventare una lingua che non esisteva prima di lui, la nostra lingua italiana.
E mai come in questo momento, il viaggio dantesco, che è un viaggio di espiazione ma anche di purificazione e sublimazione, assomiglia ai momenti critici che ha vissuto l’umanità e che ancora sta vivendo. Dante, guidato da Virgilio, il grande poeta latino che lui chiama “maestro e donno”,  inizia il suo viaggio nel mondo delle tenebre sulla cui porta è scritto:
Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
 per me si va tra la perduta gente.
E Dante entra, rassicurato da Virgilio, e si lascia sprofondare nei gironi distribuiti secondo la gravità del peccato, del male in cui gli uomini hanno immerso la loro vita. In fondo a quello sprofondo c’è il male assoluto e, prima di arrivare a lui e prima di proseguire il viaggio verso il Purgatorio e, finalmente, verso il Paradiso, Dante riuscirà a rivivere le grandi passioni che hanno travolto l’Umanità.
Incontrerà Paolo e Francesca, gli amanti condannati a vagare per sempre nell’aere perso, incontrerà Ulisse divorato dalla curiosità che lo ha portato a oltrepassare le colonne dell’ignoto dove si perderà, incontrerà il Conte Ugolino condannato a divorare il cranio del suo persecutore. Fino a quando, finalmente, può annunciare che “quindi uscimmo a riveder le stelle”.
E questo è un finale significativo, un finale salvifico per l’Umanità che agogna di riveder le stelle del firmamento consueto, quello che lo accompagna da quando è nato e che contempla ogni volta che alza il gli occhi al cielo.
Ma Dante può essere considerato anche un precursore, quasi un ideatore della parola Italia, intesa come patria, come nazione, perché fu lui che ne vide per primo l’unità di storia e di popolo, la cui mancanza lamenta con i celebri versi della sua invettiva:
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!
Questo Dantedì sia un augurio a un ritorno a Riveder le stelle, e soprattutto agli italiani tutti che ritrovino il senso dell’unità sociale , quella che nel dopoguerra ci riportò, dalle macerie morali e materiali, all’Italia che vola verso il miracolo economico e alla ricostruzione sociale.
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