di Antonello Sette
Alberto Veronesi, ieri è stato un grande giorno per lei: un concerto al piano, accompagnato dalle voci del tenore Vitaliy Kovalchuk e della soprano Marina Nachkebiya, simbolicamente legati a una corda, a Piazza della Scala, all’esterno di un tempio mondiale della cultura, per salvare il suo mondo da una catastrofe economica e morale…
Abbiamo scelto un luogo simbolo di rilevanza mondiale – spiega il noto musicista rispondendo all’Agenzia SprayNews – per cominciare un percorso che ha come sua meta la liberazione della cultura italiana dalle catene che la opprimono e per unirci alle lotte che nello stesso ambito stanno crescendo in tutta Europa.
La gente ha capito la simbologia di un concerto di fronte alla Scala. Abbiamo vinto la nostra scommessa…
Mi ricorda quali erano gli obiettivi immediati?
Per prima cosa chiediamo al Governo di trasformare gradualmente i centomila precari dello spettacolo italiano in un esercito stabile di culturator, come li abbiamo chiamati, che può diventare un formidabile strumento di diffusione della cultura e dare una scossa a un Paese, dove il sessanta per cento dei suoi abitanti non ha mai letto un libro e dove il settanta per cento non è mai entrato in un teatro.
Il secondo obiettivo è quello di ottenere l’istituzione di un’agenzia nazionale per coordinare, grazie anche al nuovo esercito dei culturator, la diffusione della cultura in tutto il territorio nazionale.
Potremo così finalmente attuare l’articolo 34 della Costituzione che prevede l’accesso gratuito per tutti i cittadini al patrimonio dell’istruzione e della cultura fino ai gradi più alti.
L’attuazione di un successivo articolo della Costituzione italiana fa da sfondo, se ho capito bene, a un altro vostro obiettivo…
Per l’esattezza chiediamo l’attuazione dell’articolo 46, che “riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende”.
Vorremmo che almeno nell’impresa culturale si possa sottoscrivere un patto con i lavoratori per una cogestione democratica, sul modello delle grandi istituzioni culturali tedesche e inglesi.
Sarebbe, come lei può immaginare, una grande rivoluzione per la cultura italiana.
Quali saranno le prossime mosse dei lavoratori della cultura?
Approfondiremo il dialogo con il Governo, faremo altre manifestazioni, dopo quella di ieri davanti alla Scala e soprattutto daremo, seppure in maniera embrionale, anima e corpo alla diffusione della cultura nei piccoli centri, nei quartieri, nelle periferie e invadendo l’universo inascoltato degli over 75, dove la fame di cultura è ancora alta e l’astinenza più avvertita.
E lei personalmente che cosa altro ha in mente ha di fare?
Il bellissimo mestiere che ho sempre fatto. Sono un direttore d’orchestra che in particolare si dedica con amore e passione a Giacomo Puccini e che ha un ruolo anche nel Festival Nazionale dedicato al grande compositore lucchese.
È la mia attività. È la mia vita.
Capisco, ma io alludevo al prosieguo delle sue iniziative di sensibilizzazione…
Pubblicherò un libro, che ha nel titolo un programma più vasto, che va oltre la mia persona.
“Manifesto della Cultura”, un progetto, un ideale, un sogno per l’Italia che verrà, che spero cominci ora.
Con tre obiettivi precisi e concreti…
A dire la verità ci sarebbe un quarto o quinto punto, che assomiglia, date le nostre attuali possibilità, a un treno dei desideri che all’incontrario va.
Sarebbe auspicabile una rivoluzione dei palinsesti Rai sia della televisione che della radio. Siamo l’unico Paese del mondo dove non c’è un canale radiofonico dedicato alla musica classica.
E anche nella televisione vediamo un’estrema ritrosia a dedicare spazi specifici all’istruzione e alla promozione culturale, come peraltro avveniva fino a cinquant’anni fa, in ossequio alla incultura dei giochi a premi, dei talk show e dei reality.
Perché la cultura non è solo arte o umanesimo. È anche, non voglio dire soprattutto, cultura tecnica, cultura legata al lavoro e all’impresa.
Abbiamo parlato di progetti, di speranze, forse di sogni. Lei ha un sogno tutto suo da raccontarmi?
Il mio sogno è vivere in un’Italia che da questo punto di vista assomigli alla Germania, dove si avvertono un amore e una consuetudine intorno alla cultura infinitamente più grandi.
La cultura non basta averla immaginata, creata e forgiata nei secoli. La cultura deve essere messa a disposizione di tutti. Le chiarisco il concetto con un esempio concreto. Straordinario e nello stesso tempo doloroso.
Nel Mezzogiorno d’Italia esiste la più alta concentrazione al mondo di siti Unesco patrimoni dell’umanità.
Luoghi, dove basta scavare per scoprire nuovi mondi di conoscenza e di bellezza. Una ricchezza senza pari e senza fine.
Ebbene, l’ottanta per cento degli abitanti del Sud d’Italia non ha mai visitato neppure uno dei propri siti.
Mi dica lei se non sia il caso di invertire la rotta della nave dell’analfabetismo culturale. Dirigendola fuori del porto delle nebbie.
Verso una terraferma, dove la conoscenza e la cultura sono ambite da tutti. E per tutti disponibili.