di Alessia de Antoniis
La Silb – Associazione Italiana Imprese di Intrattenimento da Ballo e di Spettacolo scrive a Mario Draghi: la situazione è drammatica. Servono sostegni ministeriali, congrui e immediati.
3000 imprese, circa 100.000 lavoratori direttamente occupati e un fatturato di circa 2 miliardi di euro l’anno: questi i numeri ufficiali di un comparto del commercio italiano, complesso e articolato, con zone d’ombra, ma che dà lavoro a giovani e lavoratori specializzati. Un settore che rappresenta una delle entrate della SIAE, ma che è tra i più colpiti dai due anni di pandemia.
“Le imprese che rappresentiamo stanno vivendo una situazione drammatica che, nonostante le rassicurazioni avute poche settimane fa sulle nostre attività, vede nuovamente i locali da ballo e le discoteche italiane chiusi per decreto con l’attività ferma proprio in uno dei periodi dell’anno maggiormente importanti. Per questo abbiamo deciso di scrivere una lettera al Presidente del Consiglio Mario Draghi e ai ministri competenti, affinché ascoltino le nostre istanze e si facciano carico della sopravvivenza del nostro comparto”.
È quanto si legge nel comunicato firmato dal presidente nazionale del Silb-Fipe, Maurizio Pasca, a Bologna, al termine della riunione dell’associazione italiana imprese di intrattenimento da ballo e di spettacolo, aderenti a Fipe-Confcommercio.
Antonio Flamini, Presidente di Silb Roma ha aggiunto alcuni chiarimenti.
Fipe ha al suo interno due categorie che hanno ricevuto un trattamento diverso: quello della ristorazione, che ha continuato a lavorare potenziando il delivery e che si è vista riconoscere un aumento dell’occupazione di suolo pubblico per fronteggiare la riduzione iniziale dei coperti interni, e le discoteche che, all’indomani delle feste natalizie, sono state obbligate a chiudere.
Esatto. Siamo gli unici che sono stati costretti dal Governo alla chiusura.
E non solo siamo l’unico settore del pubblico esercizio che è stato chiuso, ma siamo stati i più penalizzati dal periodo pandemico, senza poter beneficiare di soluzioni compensative. Eravamo i primi a chiudere a fine febbraio del 2020 e gli ultimi a riaprire a metà dello scorso ottobre. Avevamo alle spalle un periodo di blocco totale delle attività e i sostegni che abbiamo avuto dallo Stato sono stati irrisori. Avevamo ricominciato a vedere la luce in fondo al tunnel quando, senza preavviso, ci hanno fatto richiudere il 24 dicembre, a una settimana da Capodanno, uno dei periodi più importanti della nostra stagione. La chiusura è prevista fino al 31 gennaio, ma non è certo se la riapertura sarà possibile, visto l’aumento dei contagi. Ipotizziamo una chiusura che vada anche oltre il 31 gennaio.
Noi rappresentiamo circa 3000 imprese in tutta Italia, con circa 100.000 lavoratori direttamente occupati e un fatturato di circa 2 miliardi di euro l’anno. Richiuderci all’improvviso, dopo aver appena riaperto, dopo aver affrontato una serie di investimenti mirati al rispetto dei protocolli di sicurezza, ci crea un danno enorme. Questo decreto, così com’è, mette in ginocchio tutta la categoria, non solo gli imprenditori. Siamo stati costretti a mandare a spasso centinaia di migliaia di lavoratori, ai quali corrispondono altrettante famiglie che si trovano senza reddito. E che non sanno quando potranno riaverlo. La perdita legata alla chiusura del periodo natalizio, per noi vale circa 200 milioni di euro, ed è una stima per difetto. Non ci meraviglia solo la chiusura, ma soprattutto il fatto che, contestualmente, non sia stato previsto un risarcimento. È questo l’oggetto del comunicato che abbiamo rilasciato oggi.
Vogliamo poi aggiungere che, così come è già accaduto, quando chiudono le discoteche, si verificano una serie di altre attività di intrattenimento irregolari, o completamente abusive, che sostituiscono la nostra attività. Per cui il nostro sacrificio viene vanificato e i contagi si verificano ugualmente. A Capodanno, come testimoniano decine di video, si è ballato dappertutto. Nei ristoranti, nei bar, negli alberghi, in ville, in posti abusivi e non idonei ad attività di intrattenimento. Luoghi privi anche dei sistemi di sicurezza previsti per legge.
Quindi, di fatto, il decreto ha creato una concorrenza sleale tra settori concorrenti, all’interno della stessa categoria, alcuni chiusi e altri liberi di organizzare feste e veglioni?
Ci sono stati ristoranti, bar, alberghi aperti, che hanno organizzato i classici veglioni di Capodanno. Le attività abusive sono una questione annosa che lamentiamo da anni. Indipendentemente dai decreti covid. È una situazione che da anni crea una concorrenza sleale verso il nostro settore. Purtroppo i controlli delle autorità competenti non sono sufficienti, come non lo sono stati durante la notte di Capodanno.
La vostra categoria aveva avanzato proposte alternative alla chiusura? Il Governo vi ha chiuso senza avervi consultato?
Nelle bozze che circolavano poche ore, ma anche pochi minuti prima del discorso mandato in diretta televisiva, si parlava di un inasprimento delle regole: introdurre un Green pass rafforzato più un tampone per accedere nei locali di intrattenimento. All’ultimo momento hanno deciso la chiusura. E non hanno previsto una compensazione economica. Questa è l’ingiustizia che noi lamentiamo. Ci rendiamo conto che la situazione è difficile, ma chiediamo una compensazione economica che risarcisca il sacrificio di un’intera categoria di imprenditori e lavoratori.
Con senso di responsabilità, non pretendiamo di riaprire domani. Siamo consapevoli che questa chiusura è un sacrificio che va fatto per il bene della collettività, ma chiediamo una compensazione economica. Rappresentiamo un comparto produttivo e chiuderlo significa privare di un reddito le persone che ci lavorano e le loro famiglie.
Siete in grado di garantire i controlli in locali come le discoteche?
Avevamo dei protocolli specifici per poter riaprire in sicurezza. Siamo stati i primi a dire che potevamo riaprire con il Green pass. Rispettando i protocolli all’interno del locale, come la sanificazione e l’uso di mascherine, eravamo in grado di garantire un divertimento in sicurezza. La dimostrazione sta nei video dei veglioni di Capodanno, dove la gente si andata a divertire in spazi senza l’osservanza dei protocolli. Non c’era l’obbligo di Green pass per entrare, non c’erano le mascherine, non c’era sicurezza.
Ai gestori di discoteche basterebbero risarcimenti calcolati in proporzione ai fatturati dichiarati?
Sì.
I rimborsi precedenti vi sono stati pagati?
In parte sì. Un altro bonus di 25.000 € ad azienda, stanziato per il fatto che eravamo una delle ultime categorie a poter riaprire, si è ridotto a circa 8000 €. Stiamo cercando di capire, tramite l’Agenzia delle Entrate, che metodo hanno utilizzato e perché l’intervento previsto si sia ridotto ad un terzo.