di Alessia de Antoniis
Dopo il debutto sold out al Quirino di Roma, dal 15 al 20 febbraio 2022 arriva al Rossetti di Trieste “Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa”. In scena, il Samsa-danzatore cerca l’assoluta perfezione tecnica e interpretativa ripetendo ossessivamente le stesse sequenze, ma ciò lo conduce in una dimensione esistenziale dove realtà e immaginazione si confondono.
Con “Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa” Lorenzo Glejieses si addentra in un universo delle linee registiche e drammaturgiche forti, concepite con Julia Varley e il Maestro Barba.
Eugenio Barba, regista e teorico teatrale italiano, assistente di Grotowski, fondatore dell’Odin Teatret, è stato scelto da Lorenzo come maestro. Ma in questo spettacolo ha tradito le sue indicazioni. “Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa” è anche il tentativo dell’allievo di uccidere il maestro.
Maestro, Lei ha comunque accettato il tradimento…
Tradire è una parola che uno associa immediatamente a Giuda, Bruto o alla Malinche che aiutò Cortez a distruggere l’impero Azteco. In arte il tradimento, consapevole o involontario, è sintomo di trasformazione, necessaria per lottare contro l’entropia. La metafora dell’allievo che uccide il maestro comporta concretamente una forma di antropofagia mentale e professionale che permette all’allievo di incorporare conoscenze e valori e rivitalizzarli con il suo metabolismo creativo.
Il maestro vince quando vince il discepolo. Ha contribuito alla vittoria del suo maestro Grotowski? Lo ha tradito?
I fatti mostrano che ho contribuito in modo essenziale alla reputazione di un anonimo giovane regista polacco chiamato Grotowski. Dal mio libro su di lui (Alla ricerca del teatro perduto, Marsilio editori) nel 1965 quando era totalmente sconosciuto, alla curatela del Verso un Teatro Povero nel 1969 pubblicato dalla casa editrice dell’Odin Teatret. Vittoria e sconfitta sono parole che giudicano, ma spiegano poco. Se per tradito si intende quello che ho detto prima, ovvero trasformare quello che si riceve, indubbiamente ho tradito Grotowski in pieno. Dopo 10 anni Grotowski ha smesso di fare teatro, io sono 57 che continuo farlo.
Ha detto: “Se non ti lasciano salire sulla loro barca, devi costruirti la tua canoa”. L’Odin Teatret è stata la sua canoa? Ha accolto e formato attori o li ha costretti a costruirsi le proprie canoe?
In arte non si costringe, si ispira con l’esempio. È un dato di fatto che ho stimolato molte persone che hanno saputo costruire canoe e galeoni guidati dalle loro nostalgie e capaci di affrontare i marosi delle contingenze storiche in cui navigano.
Cosa, in Lorenzo e nel suo lavoro, l’ha spinta ad accettare la co-regia di uno spettacolo nato fuori dall’Odin?
Rimaniamo colpiti da determinati stimoli e prendiamo una decisione senza comprenderla pienamente. Nel caso di Lorenzo, decisivo è stato la sua risolutezza creativa, l’abnegazione professionale e la capacità di creare, con Mirto Baliani e Manolo Muoio una cellula di energia alla quale Julia Varley ed io abbiamo reagito.
Il sistema Odin, un sistema autonomo diverso da quello dei grandi teatri finanziati, è più fragile o sopravvive meglio a situazioni estreme come quella pandemica? È replicabile?
Indubbiamente l’Odin Teatret si basa su un sistema autonomo di produzione e si orienta su tutt’altri valori che sono quelli di attori e regista autodidatti e stranieri in Danimarca. L’Odin non è un’istituzione, ma un gruppo di teatro, ovvero persone che si sono scelte reciprocamente per fare teatro insieme. La storia mostra che i gruppi scompaiono dopo pochi anni. L’Odin si è mantenuto attivo dal 1964 con lo stesso nucleo di collaboratori. Non è replicabile, ma è l’esempio concreto di un teatro considerato impossibile.
Da anni divide vita e lavoro con Julia Varley. Chi è Julia?
Un’attrice e regista che protegge la sua vulnerabilità e quella degli altri. Geneticamente generosa e professionalmente impegnata. Una persona che ammiro e che amo.