di Giordano Casiraghi
Dopo il grande successo delle mostre dedicate a Claude Monet, Banksy e alla Street Art, l’Arte torna a essere protagonista del cartellone del TAM Teatro Arcimboldi Milano con la mostra “David Bowie the Passanger. By Andrew Kent”.
Con l’allestimento scenografico in uno dei foyer del teatro, la mostra racconta, attraverso le immagini e le memorie del fotografo americano Andrew Kent, un periodo ben preciso nella vita di David Bowie. Un’anteprima italiana che si compone di 60 scatti, diversi cimeli e documenti originali provenienti dall’archivio di Kent. Accanto al percorso fotografico verranno fedelmente e filologicamente ricostruiti gli ambienti protagonisti della avventura Europea di Bowie a metà degli anni ’70: dal vagone del treno che lo portò fino a Mosca, alla sua stanza di albergo a Parigi. E ancora abiti, microfoni, macchine fotografiche, dischi, modellini, manifesti, memorabilia varia e proiezioni completano la mostra accompagnando il visitatore in un viaggio spettacolare ed immersivo all’interno di una delle parentesi più affascinanti della carriera dell’icona della cultura popolare.
Tra il 1975 e il 1976, infatti, Bowie decide di lasciarsi alle spalle l’esperienza americana, culminata con il successo di un LP come Young Americans e le riprese del film L’uomo che cadde sulla terra, per tornare nella nativa Europa e rifondare la sua carriera.
Qualche tempo prima di morire Bowie disse che, nonostante vivesse a NY da anni, si sentiva profondamente europeo. Deve aver provato lo stesso sentimento a metà degli anni Settanta quando tentava di sopravvivere a Los Angeles tra esoterismo,
magia nera e cocaina. Quest’ultima lo stava facendo implodere proprio all’apice del successo americano e Bowie cercava conforto in Addio a Berlino, il romanzo di Christopher Isherwood ambientato durante la Repubblica di Weimar, nel suo lavoro e nella musica dei Kraftwerk. Sono questi fattori importanti che spingono Bowie ad immaginare il proprio ritorno in Europa.
Berlino era la città prescelta, nonostante a Londra – la sua città natale – ci fossero i segnali di un’altra rivoluzione imminente: il Punk. L’ex-capitale del Terzo Reich non poteva non esercitare un fascino discreto su Bowie anche per via del muro che divideva due mondi: Est e Ovest, Capitalismo e Comunismo. Una frontiera costruita nel cuore della città a creare una frizione costante, nella quale artisti come lui trovavano ispirazione.
Durante il tour promozionale del suo ultimo album, Station to Station, Bowie era diventato “The Thin White Duke” ovvero “Il Sottile Duca Bianco”: un elegante, sofisticato, pallido – ed eccessivamente scavato in viso – crooner con camicia bianca, panciotto e pantaloni neri. Un antistyle per eccellenza che nasceva dalla mente non convenzionale di un artista che aveva espanso i confini del pop, introducendo nuovi elementi come la performance, costumi di scena che avrebbero influenzato la moda, la letteratura, la politica e una teatralità prima sconosciuta in quel contesto.
Le fotografie e le testimonianze di Andrew Kent che compongono questa mostra raccontano quel periodo concitato nel quale tutto stava di nuovo cambiando sia per Bowie che per il mondo attorno a lui.
Non solo foto da palco, quindi, ma anche testimonianze di quel frenetico viaggiare, soprattutto in treno e nave (Bowie infatti detestava volare in quegli anni) per raggiungere quei luoghi dove la maggior parte delle persone comuni non poteva andare, come ad esempio il Blocco Sovietico. Bowie aveva già visitato Mosca nel 1973, ma durante una pausa del segmento europeo dell’Isolar Tour, il tour promozionale di Station to Station, annuncia al suo entourage che vuole raggiungere di nuovo la capitale russa. Sarà Andrew Kent à occuparsi dei visti per accedere all’Unione Sovietica. Di quel breve soggiorno rimangono le fotografie incluse nel percorso della mostra a restituirci un istante unico. Si tratta di snapshot e qualche foto in posa – davanti al Cremlino o al Mausoleo di Lenin – di un istante unico nel quale la fame di onniscienza che alimentava la mente di Bowie, lo stava preparando per Low, Heroes e Lodger: La Trilogia di Berlino.
Nella ex-capitale del Terzo Reich Bowie, assieme ad Iggy Pop, avrebbe scritto e registrato alcuni dei sui album piiù importanti e influenti. Musica europea: decadente, morbosa, malinconica e rarefatta in alcuni casi. La Cortina di Ferro e il Muro di Berlino attrassero Bowie e lo stimolarono a produrre la sua ennesima rivoluzione, nel tentativo appunto di cambiare il mondo e il suo mondo. Due anni dopo, se ne sarebbe di nuovo andato, non senza aver prima dato tutto, come ricorda lo stesso Kent. Alla fine dei conti, come canta in Be my Wife (Low, 1976) “I’ve lived all over the world… I’ve left every place”.
Vendite aperte su: https://www.teatroarcimboldi.it/david-bowie-the-passenger
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