di Alessia de Antoniis
Glauco Mauri e Roberto Sturno portano in scena al Teatro Parioli fino al 13 marzo, “Variazioni enigmatiche” di Éric-Emmanuel Schmitt. La regia è di Matteo Tarasco. Insieme danno vita a una forma di teatro che, fortunatamente, non è ancora morta: la commedia brillante intellettuale.
Per Glauco Mari “Variazioni Enigmatiche è una partita a scacchi, un intreccio psicologico, un incontro-scontro tra due uomini legati alla figura di una donna”.
Per Matteo Tarasco “Variazioni Enigmatiche è un thriller psicologico, un face-à-face inesorabile, dove in un costante scambio dialettico tra illusione ed elusione – nel senso antico di in-ludo ed ex-ludo, mettersi in gioco e contemporaneamente fuori gioco -, due uomini si sfideranno alla ricerca della verità”.
Variazioni Enigmatiche è un’opera sinfonica composta da tutte le note del pentagramma, dove ogni nota è uno stato d’animo. Una trama che tiene lo spettatore legato, con suspence e umorismo, illudendolo che si parli di relazioni amorose.
In scena, per quasi due ore, Glauco Mari (Abel Znorko) e Roberto Sturno (Erik Larsen), costruiscono pezzo dopo pezzo una commedia non facile, dove ognuno cerca di far cadere la maschera dell’altro. I due attori sostengono i ritmi frizzanti, ma impegnativi, di un continuo scambio di battute. Si scontrano in un continuo alternarsi di ruoli, oscillando tra due poli opposti, senza mai cedere, senza mai perdere il sincronismo di due trapezisti. Senza mai lasciare il palcoscenico, tengono lo spettatore sempre in attesa della battuta successiva.
Glauco Mauri, titanico nelle sue consapevolezze, maschile, trascinato in una serie di variazioni enigmatiche da Roberto Sturno, più dimesso, incerto, femminile. Tra battute ironiche, sagaci, divertenti, che abbassano le difese dello spettatore, ci si ritrova invischiati in un dibattito all’apparenza filosofico, che risucchia lentamente nel ghiaccio di solide certezze che diventano liquide.
Commedia e dramma. Amore e odio. Tenerezza e crudeltà. Verità e menzogna. Una goccia cinese di rivelazioni, di colpi di scena. Un inizio banale: un’intervista accordata a uno sconosciuto giornalista di una gazzetta di paese da un premio Nobel per la letteratura, all’indomani della pubblicazione del suo ultimo best seller: uno scambio epistolare tra due amanti, tra l’autore e una donna. Un espediente per parlare di variazioni.
Varia l’idea degli spettatori man mano che la storia progredisce. Varia la percezione che i personaggi hanno l’uno dell’altro, mentre si trasformano da sconosciuti a intimi. Varia il loro rapporto: da rivali ad amici speciali. Varia il tempo, un pomeriggio che segna il passaggio dai sei mesi di giorno ai sei mesi di notte in un’isola sperduta nel mare della Norvegia, dove Abel Znorko si è rifugiato per fuggire dagli uomini e dalla volgarità del mondo, mentre mantiene vivo, attraverso una corrispondenza amorosa che dura da vent’anni, l’amore per una donna misteriosa. Variano continuamente gli stati d’animo mentre varia l’esistenza dei protagonisti.
Sono variazioni che arrivano a coinvolgere le parti più profonde dell’uomo, finanche l’identità di genere. Sono enigmatiche perché, come ammette Znorko, “la vita non è altro che un grande imbroglio. Appena ci illudiamo di aver afferrato qualcosa, questa svanisce. Non amiamo altro che fantasmi e tutto il resto rimane un enigma che non riusciremo mai a capire”.
Znorko e Larsen sono due variazioni: due modi diversi di amare, due ruoli diversi in un rapporto d’amore.
L’enigma si cela anche nei numerosi doppi sensi delle battute. Un enigma (o un imbroglio?) è già nella dedica del libro, con le sole iniziali di un nome. È una donna? Reale? Viva o morta?
Quando Larsen osserva, all’inizio dell’intervista, “non sono un grande scrittore, nemmeno uno scrittore, non ho mai scritto una sola frase degna di essere ricordata”, è vero in quanto non ha pubblicato un libro, e al contempo falso. La persona oggetto della dedica del libro è vera e falsa. Erik Larsen è vero e falso: un enigma, ambiguo e allusivo. Un enigma è il personaggio centrale della commedia, che non appare mai. “Helene viveva due verità, ecco tutto: la verità con te e la verità con me. Nessuno di noi conosceva le due Helene”, confessa Larsen a Znorko.
Una variazione enigmatica è l’oggetto della commedia, che apparentemente parla di amore. Amore di un marito per sua moglie, di un uomo per la sua amante, di un uomo per un altro uomo al quale vuole solo donare felicità o risparmiare sofferenza. Ma l’opposto dell’amore, la sua variazione più profonda, è l’odio. E in una serie di variazioni continue, può l’amore che è scivolato nell’odio per un duplice tradimento, trasformarsi nuovamente in amore?
Una variazione enigmatica è il tempo: in una commedia che rispetta le tre unità aristoteliche, c’è un tempo lungo dieci anni assolutamente inventato: la vita di Helene che continua dopo la morte. Un periodo durante il quale “io e Helene ci pensiamo…ci scriviamo ogni giorno…ci raccontiamo tutto”. Tutti inganni.
Una variazione enigmatica è Larson, che si trasforma da migliore amico a marito a nuovo amico: prima di Helene poi di Znorko. Un manipolatore. Varia da uomo a donna per non far morire un amore epistolare; poi di nuovo uomo per conoscere l’oggetto dell’amore della sua defunta moglie. E per diventare sua moglie ha dovuto imitarne la grafia, entrare nei suoi pensieri, scivolare nelle sue emozioni, nei suoi sogni inconfessati.
Znorko è l’uomo delle certezze che variano, che vanno in frantumi colpite dalla verità. Abile nell’entrare e nel disimpegnarsi dal suo ruolo di amante, orgoglioso del suo cinismo, si scopre un bugiardo ingannato, un carnefice che è vittima, un traditore a lungo tradito. Un misantropo che ama per venti lunghi anni una donna che ha avuto per soli cinque mesi.
Su palcoscenico Glauco e Sturno si fronteggiano come due abili schermitori, senza interruzioni, senza cedere alla monotonia, con un linguaggio vivace, fatto di domande e risposte, di en garde, affondi e parate.
Un testo che parla di verità, di menzogne, di pregiudizi, di mancanza di umanità, di fragilità umana, della paura di vivere. Ma, soprattutto, di compassione, quella strepitosa capacità umana di percepire la sofferenza dell’altro che unisce anche le persone apparentemente più diverse.
Da vedere.