Con "Eduardo mio" e "La ballata dei gusci infranti" Lina Sastri torna in teatro e al cinema

Nell'intervista a Lina Sastri il suo Eduardo, i suoi gusci infranti e il testamento del suo maestro ai giovani attori: "prima imparateve a cammenà".

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27 Marzo 2022 - 10.55


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di Alessia de Antoniis

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Lina Sastri, a Roma al teatro Parioli con “Eduardo mio”, ha presentato alla Casa del Cinema “La ballata dei gusci infranti”, opera prima della giovane regista Federica Biondi, al cinema dal 31 marzo.

Al Parioli, Lina Sastri è umana, emozionata, imperfetta (si confonde e dice: scusate, ricominciamo), potente, immensa. Riempie il palcoscenico con la sua fisicità, la sua recitazione generosa, la sua voce. Due ore ininterrotte, sola sul palco insieme ai suoi musicisti. E di qua un pubblico ipnotizzato, commosso, che la abbraccia di applausi.

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La stessa generosità che Lina mette ne “La ballata dei gusci infranti”, dove condivide il guscio di un amore esclusivo con un altro grande attore italiano, Giorgio Colangeli.

Tre Davide di Donatello, un Nastro d’Argento e ancora la stessa veracità di una donna andata via di casa a diciassette anni per inseguire un sogno: la libertà.

Lina Sastri non voleva fare teatro popolare dialettale, come racconta in “Eduardo mio”, ma “ho avuto la fortuna di incontrare Eduardo. Non avrei potuto incontrare un artista più grande di lui. Poi ho percorso altre strade. Da Pirandello a Patroni Griffi, dal musical a Shakespeare. Dopo Eduardo non ho più fatto teatro in lingua napoletana, fino a quando ho iniziato il mio teatro canzone. Un tipo di teatro iniziato con “Cuore mio”, che ho portato in tutto il mondo, dove c’è la parola e la musica. La mia musica, ovviamente, è la canzone napoletana che per me è la più bella del mondo. Ma ho sempre sperimentato. Ho voluto usare tutti i miei talenti. E ho anche rischiato, soprattutto con i miei spettacoli di teatro canzone. Anche ora sto per rischiare: in estate dovremmo iniziare a girare il film “La casa di Ninetta”, tratto dal piccolo libretto che ho dedicato a mia madre morta di Alzheimer. È il progetto al quale tengo maggiormente e la mia prima regia cinematografica”. A ottobre, invece, esce la fiction Vincenzo Malinconico (per la Rai, nda) dove recito insieme a Massimiliano Gallo.

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L’attrice napoletana, con lo stesso entusiasmo di un’artista all’inizio della carriera, si divide tra teatro e cinema. “Il teatro canzone, come lo spettacolo “Eduardo mio”, è il mio modo di unire il testo recitato e la musica, come hanno fatto prima di me Moni Ovadia o Gaber.

Poi c’è il cinema, anche se a un certo punto è più difficile che ti chiamino, a meno che non fai la nonna di qualcuno. Sono una delle poche della mia generazione a non essermi sottoposta a interventi chirurgici, quindi tutte le nonne che ci sono in giro le faccio io. Ho cominciato a fare le vecchie nel cinema già con “Baarìa” di Tornatore, dove mi sottoponevo a due ore di trucco. Il cinema per è stato come una bella favola di Cenerentola, una favola che continua ancora oggi”.


Un amore, quello per il cinema, che ancora continua, con il film in uscita al cinema il 31 marzo “La ballata dei gusci infranti”.

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“È un film con un cast giovane e Federica Biondi è una regista molto sensibile. Mi ha colpito la storia di questi due coniugi, non più giovani ma ancora innamoratissimi, attrice lei e sceneggiatore lui, che vivono di teatro in questo paesino di provincia nelle Marche, dove il terremoto sconvolge le loro vite. Vivono nel guscio chiuso del loro amore, con il loro modo di comunicare. Hanno questo figlio (Samuele Sbrighi, nda), che è lo strano del villaggio. Nella scena dove mi ritrovo con lui, dopo che il terremoto ha infranto il mio guscio di cose divenute inutili, senza più le prove in teatro con il marito che adoravo, senza più una casa, grido: tu hai salvato un asino e non hai salvato tuo padre. Ho messo enfasi nel recitare questa frase proprio per accentuare l’egoismo di una donna chiusa nel suo guscio d’amore per il marito che non c’è più, una donna che neanche il terremoto è riuscito a cambiare. L’unico piccolo gesto di cambiamento è quando lo abbraccia.

Conosco il terremoto. Ero a Napoli quando ci fu il sisma e ricordo benissimo quando abbiamo dormito per giorni in mezzo alla strada. Ricordo la perdita dei punti di riferimento. So cosa vuol dire ritrovarsi solo con le cose indispensabili. Un momento prima tutto era importante, come nel film, anche le sciocchezze. Mentre un momento dopo pensi soltanto alle persone a cui vuoi bene, ti auguri che si siano salvate. Esattamente come accade in guerra, quando ti ritrovi a essere un sopravvissuto in un mondo che non è più lo stesso di prima. In quel periodo dovetti andare a Milano e rimasi sorpresa di trovare una città normale, dove tutto funzionava, mentre a un’ora di aereo, a Napoli, c’erano le macerie e la gente che dormiva per strada. Rimasi sconvolta da questo fatto. Quando una simile tragedia ti investe, pensi che sia così ovunque. Invece è così solo per te. Comprendo profondamente tutte le persone che stanno arrivando dall’Ucraina in un luogo dove la guerra non c’è, dove non si prova la paura di morire, dove c’è cibo, acqua, dove puoi uscire di casa e incontrare qualcuno, dove puoi stare vicino ai tuoi figli, ai tuoi cari. Se non si provano simili tragedie, non si capisce”.


Lina Sastri ha iniziato le riprese di “La ballata dei gusci infranti” poco dopo la perdita del fratello per Covid.

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“La sofferenza per la mia perdita si vede dal mio volto provato, che non ha necessitato di molto trucco. Ho scritto un corto sulla perdita di mio fratello che non so se riuscirò a fare. L’ho intitolato “La mancanza”. Forse in giugno, al Campania Teatro Festival, farò un reading della sceneggiatura. Credo che non ci sia nulla di più ferocemente doloroso del non poter accompagnare chi si ama nel percorso della malattia. Dare il conforto di una carezza, di un sorriso, di uno sguardo, a chi soffre, a chi sta male, a chi se ne va. Non c’è niente di più terribile di non poter fare un funerale. Ti dicono al telefono che tuo fratello non c’è più, senza averlo visto ultima volta, senza averlo salutato. Un dolore inimmaginabile.

Non è stata l’unica volta che Lina Sastri ha portato in scena storie che richiamavano esperienze realmente vissute, come nella serie Sky “Christian”, a fianco del protagonista Edoardo Pesce.

“Facevo la madre di Christian, malata di Alzheimer. È una malattia che conosco per averla affrontata con mia madre. Regrediscono lentamente. Non so se mia madre fosse del tutto cosciente. A volte lo era e si vergognava di essere pulita, imboccata. Meno male che perdono coscienza, perché credo che il pudore sia importante. Perdere la tua identità, non riconoscere più niente, credo sia terribile. Non ho salutato neanche lei. Ero sempre accanto a mia mamma tranne quella sera: l’avevo lasciata con le persone che la assistevano, nella casa che avevo comprato apposta per lei e che ora è la mia casa di Napoli. Ogni momento libero stavo con lei, ma lei è morta e io non c’ero.

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L’attrice è in scena con “Eduardo mio” nell’anno che ha visto l’uscita delle due pellicole sulla storia dei De Filippo che ci hanno fatto conoscere un dietro le quinte della storica famiglianapoletana.
“Ho portato in scena “Eduardo mio” nell’estate del 2020 una sola sera, nel giardino della reggia di Caserta, con un’orchestra di cento elementi. Ho parlato di Eduardo in tempi non sospetti ben prima dell’uscita dei film. Allora, quando raccontavo di Luisa, dei De Filippo, degli Scarpetta, la gente rimaneva perplessa perché parlavo di fatti che molti ignoravano. Questo spettacolo nasce prima della pandemia. L’ho chiamato “Eduardo mio” non perché mi sia appropriata di un personaggio così grande, ma perché parlo di quello che so. Non è un lavoro di ricerca: parlo di quello che ho vissuto in prima persona.

In “Eduardo mio”, Lina recita una frase: il rispetto per la libertà delle proprie idee si paga con la solitudine.

“L’ha detto Edoardo con parole più appropriate delle mie, a Taormina, durante la sua ultima apparizione nel famoso testamento di Eduardo. Ero lì e in teatro scese il gelo. Lui parlava di quella solitudine che hai di fronte a te stesso, anche nel camerino prima di entrare in scena; di quella responsabilità che hai se sei autore, impresario. La solitudine di chi ha lavorato senza percorrere le vie più facili che ti vengono suggerite o che ti vengono imposte. È così anche nel mio piccolo. La libertà si paga sicuramente, con la solitudine.

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Lina ha avuto la fortuna di aver incontrato un maestro. Ma che ne è dei vecchi maestri?

“Lo scorso anno al Bif&st di Bari, Laudadio mi ha chiesto di fare uno stage per giovani attori. Credo si debba partire dalle cose più semplici, dal pensiero che sta dietro alle parole, altrimenti le parole sono vane. Il pensiero poi ti porta all’intonazione e a tutto quello che ne viene. È vero, mancano i maestri. Oggi fanno stage, fanno testi impegnati ma, come diceva Eduardo, prima imparateve a cammenà”.


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