Antonio Salvati
L’attuale drammatico conflitto russo-ucraino non lascia indifferente il cristiano – chiamato a essere «uomo di pace» – e lo sollecitano a porsi la domanda fondamentale: che cosa è la pace per il credente? Diversi autori cristiani con il loro pensiero e i loro scritti hanno tentato di rispondere a questa domanda, aiutandoci a riflettere. Una sollecitazione significativa ci proviene da un grande intellettuale francese del Novecento, Emmanuel Mounier (1905-1950), fondatore della rivista «Esprit».
Mounier, negli scritti risalenti agli anni che precedono l’ultimo conflitto mondiale, più volte si sofferma sulle strategie perseguibili in quella situazione storica per la difesa della pace e, più in generale, sul significato che la pace assume per il cristiano. Pensando in particolare al suo paese egli scrive che, se nulla «si difende attraverso la guerra moderna», «nulla si difende senza rischio di guerra: nulla si crea senza rischio grave e permanente di conflitto». Volere «a tutti i costi eliminare tale rischio», significa pagare quello stesso prezzo che l’avversario richiede, cioè il tradimento dei valori e il suicidio morale e poi fisico.
Mounier si riferisce a quanto accaduto nell’estate del 1939, in seguito all’aggressione tedesca di Danzica e del corridoio polacco, ritenendo che tale rischio va corso non solo per la salvezza della città baltica, ma per quella dell’Europa tutta. Non solo. Mounier richiama l’attenzione sulle responsabilità che gravano sui cristiani nella disfatta morale dell’Europa, e sull’immenso potenziale di energie che essi potrebbero utilizzare per fronteggiare l’«immensa cospirazione contro l’anima del cristianesimo» che, in forme diverse, si irradia da Tokio, a Mosca, a Berlino e a Roma («il quadrilatero spirituale del fascismo»).
Di fronte ad essa, la cristianità, ha il dovere di trovarsi unita, impegnandosi in un’opera di dimensioni mai viste, in difesa della pace. Mentre «il mondo cristiano sonnecchia», un esiguo manipolo ha già ingaggiato la lotta per la pace scrive Mounier che pubblica nel 1939 Les chrétiens devant le problème de la paix, saggio prezioso la cui prima edizione italiana, dal titolo I cristiani e la pace, risale al 1978. L’editore Castelvecchi ha deciso ora di pubblicare una nuova edizione (pagine 120, euro 13,50), con una prefazione del costituzionalista e parlamentare Stefano Ceccanti e l’introduzione del filosofo Giancarlo Galeazzi.
Con l’invasione dell’Ucraina decisa da Putin, in effetti, queste pagine di Mounier risultano, purtroppo, di strettissima attualità, soprattutto in considerazione degli interventi – che tanto hanno fatto discutere e riflettere – di Papa Francesco e del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill. Per Ceccanti, il drammatico ritorno della guerra in Europa, oltre a «rilanciare seriamente» le riflessioni contenute nel testo «con il rigetto sia del bellicismo sia di un astratto pacifismo», ci aiuta anche, anzi soprattutto, «a leggere bene l’articolo 11 della Costituzione», anch’esso oggi oggetto di innumerevoli discussioni.
Giustamente Ceccanti argomenta che «la rinuncia alla guerra prende il suo senso nella costruzione di una nuova autorità legittima chiamata a rompere il sistema delle sovranità nazionali assolute»: l’Onu quindi, fondata nel 1945, e la futura Unione Europea. Non a caso di «forme di futura unità europea» si discusse già alla Costituente, dal dicembre del 1946. A proposito di Costituente Ceccanti ricorda come si arrivò alla scelta di utilizzare il verbo «ripudiare la guerra» (e non “rinunciare” oppure “condannare”), riportando la spiegazione di Meuccio Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione, secondo il quale il verbo scelto «ha un significato intermedio, ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra».
Nessun dubbio, dunque, sulle intenzioni dei Costituenti. Resta comunque il fatto che pur all’interno di sodalizi internazionali, la democrazia italiana e quelle occidentali in generale si sono trovate alle prese con decisioni difficili: dalle due guerre del Golfo al Kosovo, dall’Afghanistan fino, appunto, all’invio di armi all’Ucraina. Per Ceccanti, «un Diritto imperfetto» come può sembrare quello delle liberaldemocrazie «è sempre meglio di alcun Diritto».
Mounier scrive I cristiani e la pace pochi mesi dopo la conferenza di Monaco, alla quale parteciparono Hitler, Chamberlain, Daladier e Mussolini. In tale occasione viene sancita l’annessione alla Germania del territorio cecoslovacco dei Sudeti; di lì a qualche mese, Hitler invade tutto il territorio ceco. Per Mounier si illusero coloro che credettero che Monaco abbia salvato la pace in Europa solo perché «i fucili non sono partiti». La pace è ben altra cosa che la «moratoria della catastrofe», è altro rispetto al silenzio delle armi se tale silenzio è carico di odio. Per il cristiano, una pace che non riposi su un ordine che rispetti la persona e i suoi diritti, che non sia una vera tranquillitas ordinis — può essere persino «un male spiritualmente equivalente al male della guerra». La pace cristiana non è acquietamento ma pacificazione, non apaisement ma pacification.
Una pacificazione che agisce sulle strutture temporali, che oppongono resistenza alla sua azione, in quanto governate da equilibri stabiliti non in base ai diritti delle persone e dei popoli, ma in base a meri rapporti di forza. In un mondo siffatto, un mondo in cui i conflitti si decidono troppo spesso con il ricorso a mezzi violenti — in cui l’istanza decisiva è dunque la forza — la pacificazione cristiana, ovvero l’azione promossa dai «facitori di pace», è testimonianza di una forza di altro ordine, della forza dello spirito e che, nondimeno, si manifesta come «una presenza combattiva».
Mounier distinguendo «il realismo cattolico» da «una certa ideologia pacifista», interpreta la pace come una trasfigurazione della virtù della forza: non l’«anima bella», ma solo chi è capace di violenza e sa dominare i propri impulsi in virtù di una coscienza etica può rivelarsi fautore di pace. E aggiunge: «riconoscerei in un aspetto essenziale della pace cristiana una trasfigurazione della forza: non più violenza aggressiva ma vigore […] la pace non è una condizione di debolezza, ma la condizione forte che richiede dai noi il massimo di spoliazione, di sforzo e di rischio per mantenervi l’eroismo della nostra vocazione cristiana».
Mounier non trascura l’importanza dei mezzi spirituali in possesso del cristiano come la preghiera: «non è impossibile che, per il modo in cui un monaco sconosciuto crocifigge in lui la Francia in qualche oscuro convento, la Francia sia oggi salvata senza che entrino in gioco, in tale sfera, il niente dei cannoni e il niente delle nostre parole». Nel suo tentativo di porre in luce il senso che la pace autentica ha per il credente, Mounier si confronta continuamente con il pensiero teologico e con il Magistero della Chiesa, citando non di rado i documenti di Pio X, Benedetto XV e, soprattutto, di Pio XI. Il ricco magistero papale in quest’ultimi anni si è arricchito attraverso i numerosi interventi di Papa Francesco che ha spiegato che «la guerra non devasta solo il presente, ma anche l’avvenire di una società».
Diceva il teologo e poeta David Maria Turoldo (in un tempo in cui ci sono pochi profeti e pochi poeti, ma abbondano gli analisti e i geopolitici che ci spiegano che non si può far molto contro la guerra): «Non c’è una violenza che possa porre fine alla violenza. Chi uccide Caino non fa che moltiplicare la violenza e la morte. Sarà ucciso sette volte che vuol dire: se non rompete questa spirale di violenza, non farete altro che moltiplicare le morti. E Dio è anche da questa parte… dell’ultimo di tutti gli uomini, del più braccato, umiliato e offeso».