di Antonio Salvati
Da oltre trent’anni Domenico Quirico racconta di mutamenti in paesi non così lontani da noi europei. Chi lo segue da tempo conosce la sua personale capacità di far capire i fatti, di mettere davanti argomenti profondi con la semplicità di chi sa esporre con convinzione e chiarezza, le sue sconvolgenti parole e considerazioni, in grado di scavare nella coscienza dei lettori.
Tiziana Bonomo, nel suo volume Il fascino dell’imperfezione. Dialoghi con Domenico Quirico (Jaca Book 2021, pp. 196 € 27) ci mette a parte di un intenso dialogo intessuto con il giornalista inviato de La Stampa, con la consapevolezza «che, se volevo riprendere il mio viaggio nella conoscenza, finalmente potevo farlo sulle orme di un grande narratore contemporaneo», affrontando quei temi che hanno caratterizzato la sua odissea nel mondo contemporaneo: scrittura, guerra, migrazione, storia, prigionia, dolore, paesaggio, fede. Prima di intraprendere questo dialogo, l’autrice pazientemente ha letto tutti i suoi libri, raccolto tutti suoi articoli, le interviste televisive, gli incontri e le lezioni magistrali, ricavandone la chiara sensazione che Quirico appartiene a quella ristretta categoria di reporter in grado di esprimere con chiarezza «alcuni interrogativi inaggirabili».
Il libro – corredato di molte foto – include anche testi già pubblicati di Quirico ed è strutturato sotto forma di intervista in maniera diretta, «con il fascino della sua parola e con le imperfezioni che la generano». Un collage con le parole di Quirico che vanno lette e «rilette con attenzione e profondità. Esse fanno da ponte tra il nostro mondo e quello che non conosciamo: che cos’è l’uomo se non dimostra di coltivare una coscienza collettiva per generare condivisione, scambio, dubbio e conferma?». Per la Bonomo «il linguaggio di Quirico aiuta a rendere fertile un terreno bisognoso di verità, di commozione, di compassione, di laica cristianità: una voce che sembra desueta eppure è alla base di una spinta per provare a fare qualcosa, per assumersi dei rischi e allontanarsi dai tanti fallimenti della nostra società».
Quirico è consapevole di aver avuto, attraverso il suo mestiere di giornalista, il privilegio di aver attraversato, come testimone, eventi memorabili. Quirico si è più volte espresso sul mestiere di giornalista: «Più parliamo di giornalismo meno lo facciamo. Per noi il giornalismo è inteso in senso ideologico. Io trovo che non ci sia un’ideologia del giornalismo, neppure una sorta di metafisica del giornalismo. Il giornalismo è scrivere: andare nei posti, guardare e scrivere. Boh, tutto li! Una cosa un po’ troppo semplice? Mah, è semplice fino a un certo punto, perché poi ci sono dei luoghi in cui è difficile arrivare, in cui ci vuole… però sinceramente non lo so se sia utile stare a riflettere se l’inviato si chiamerà ancora “speciale” o “ordinario”, “sussidiario”, cioè: finché ci saranno i giornali – come tutte le cose umane soggette al declino e alla scomparsa – ci sarà bisogno di mandar qualcuno in un posto dove è successo qualcosa per veder cosa è capitato; e nel giorno in cui decideranno che non è più necessario questo, il giornale sarà già finito. Allora non è un problema di… è un problema, come dire, è un non-problema, come dire, per fare la pasta ci va il grano, non è che la si può fare con la plastica. Allora per fare i giornali bisogna andare a vedere delle cose, e bisogna inviare, inviare qualcuno ad andare a vedere cosa è capitato». Il giornalismo è raccontare ciò che uno vede. Tutto il resto – precisa Quirico – appartiene alla categoria dello spirito: «l’editoriale, la narrazione delle poche idee sull’universo, questo non è giornalismo, è un’altra cosa. Il giornalismo è raccontare quello che avviene intorno a te. […] È la narrazione: ci sono degli uomini che in certo luogo e in un certo momento storico vivono una certa esperienza. Tu sei tra loro, non a mille chilometri, ti guardi intorno e trasferisci questo in una narrazione, possibilmente in un italiano accettabile. Oltre a questo non ci sono altre regole, non esiste il decalogo del perfetto giornalista. Il giornalista è quello che assolve all’obbligo elementare di andare nei luoghi che ha avuto l’incarico di raccontare, di vivere insieme a coloro che in quei luoghi stanno affrontando una certa esperienza – spesso assai dolorosa, tragica, addirittura terminale – e poi la narra per chi in quei luoghi non può andare. Per questo motivo ha una funzione in primo luogo di testimone – parola che ha anche delle valenze teologiche, mistiche: il giornalista testimonia, e per testimoniare bisogna essere presenti – e in secondo luogo, attraverso la propria partecipazione diretta ai fatti crea. È lì insieme agli altri uomini, crea quel legame tra l’esperienza e la coscienza che è il passaggio obbligatorio per conoscere le cose. Questo è il giornalismo. E non credo ce ne possano essere degli altri».
Tutto quello che scrive o legge Quirico ha un rimando alla Storia. La lettura e lo studio della storia ci strappano da un “presentismo” fatto solo di emozioni e impressioni istintive e aiutano ad avere una vera coscienza del presente, “dilatata” e sostenuta dalle esperienze di chi ci ha preceduto, facendoci partecipi di tutti gli avvenimenti presenti e passati Quirico narra l’enorme piacere che ha sempre provato a «leggere cosa è accaduto in passato da qualche parte, in qualche luogo del tempo. Ho l’impressione di rivedere vive le persone vissute, che so, venti secoli fa. Proprio un piacere, non una volontà di arricchimento, di conoscenza. […] . Poi, a poco a poco, tutto questo piacere si è affinato nel senso che, per esempio, tutta la parte della decadenza di Roma, il Medioevo, che una volta leggevo di malavoglia, adesso lo trovo straordinariamente interessante, affascinante. La Storia è piacere. Cercare nella Storia la lezione del presente? Sì, quello poi ovviamente c’è ma gli uomini sono sempre sostanzialmente uguali. Secondo me si sbaglia quando si legge una certa cosa perché ha delle punte di contatto con… anzi diffido dei libri di storia che sono costruiti su un parallelo col presente. […] Secondo me questo approccio è sbagliato, è una deformazione. Io avrei preferito leggere questa storia senza alcuna connessione al presente. Mi sarebbe piaciuta ancor di più. Spesso si trovano nei libri frasi come “quello lì è stato il Kennedy del… o il…” e trovo sia una forma infantile questo rapporto con la Storia. Nella Storia vale il sé! La storia di Pericle non la leggo perché mi riporta a qualcos’altro, ma perché ho la straordinaria possibilità, attraverso dei testi, delle testimonianze, dei memoriali, di gente appena vissuta poco dopo questo soggetto, di conoscere la vita di una persona che ha vissuto molti secoli prima di me. La sua sofferenza, i suoi limiti, i suoi eroi che poi lo hanno portato alla sconfitta. Tutto ciò è magnifico! Magnifico! È come leggere di un evento di oggi e già questo è un miracolo. No?».
La Bonomo comprensibilmente nutre una fascinazione per Quirico che «vive nelle parole con le parole. Le sue letture continue sono il pane con il quale nutre sé stesso. Frantuma frasi, miti, eroi, visioni, dolori, gioie con pazienza, la sua più grande virtù, così come taglia l’erba per tenere in ordine il suo spazio segreto. Non ha limiti se non le sue regole. Trattiene dei personaggi, dei miti della Storia dei fatti solo ciò che gli consente di generare, rigenerare continuamente sé stesso». L’autrice confida che in questo dialogo fruttuoso ne ha ricavato un dono prezioso: «la presa di coscienza di ciò che voglio e di cosa ambire per i miei figli, cioè una coscienza sensibile a ciò che avviene nel mondo e all’umanità. Un viaggio che continuerò attraverso i suoi articoli, dichiarazioni, parole per conoscere la Storia, la religione, il male, per entrare dentro le guerre, per attraversare i paesaggi infiniti di poesia. Rimane un giornalista unico. Un uomo dai tanti silenzi, con cicatrici profonde che difficilmente saranno rimarginate».