Cent’anni di solitudine: la generazione di Sciascia e Pasolini e la scomparsa dell’intellettuale

La Fondazione Leonardo Sciascia celebra il sodalizio tra i due grandi scrittori e ricorda personaggi della loro generazione che hanno segnato un'epoca. Intervista con il presidente Di Grado

Cent’anni di solitudine: la generazione di Sciascia e Pasolini e la scomparsa dell’intellettuale
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

18 Ottobre 2022 - 01.13


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In un periodo storico caratterizzato dalla perdita di memoria storica, dall’oblio di esperienze di alto valore morale e civile, di grande spessore culturale, tornare a riflettere sulle donne e sugli uomini che con la loro opera, con il loro percorso esistenziale hanno lasciato una traccia indelebile nella nostra storia diventa un’operazione culturale imprescindibile.

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Assume dunque grande rilevanza il convegno che la Fondazione Leonardo Sciascia ha organizzato per i prossimi 22 e 23 ottobre, presso la sede di Racalmuto, il paese natio del grande scrittore siciliano, dall’eloquente titolo Cent’anni di solitudine: la generazione (1921-’25) di Sciascia e Pasolini. Con l’occasione dei due centenari dalla nascita di Leonardo Sciascia (1921) e di Pier Paolo Pasolini (1922), gli organizzatori intendono celebrare il duraturo sodalizio tra i due indimenticati scrittori, ma anche allargare il quadro ad artisti e politici nati in quel primo scorcio degli anni Venti che in qualche modo hanno segnato la letteratura e le arti, la politica e il dibattito intellettuale e civile del nostro Paese.


Si tratta di un’operazione culturale rilevante, poiché nella riflessione nazionale davvero scarseggia una storia della cultura e delle forme espressive scandita per generazioni. Come scrivono in sede di presentazione gli organizzatori, questo tentativo “intende innovare il consueto appuntamento dei centenari, facendone occasione di indagini sincroniche che ai soliti medaglioni celebrativi sostituiscano la febbrile temperatura delle epoche di volta in volta indagate”.

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Oltre a Sciascia e Pasolini, i nomi selezionati di personaggi che hanno lasciato una vivida impronta in quel periodo storico sono numerosi e prestigiosi, e spaziano dalla letteratura, al cinema, all’arte lirica, alla politica, ai campi dell’impegno sociale civile: Italo Calvino, Francesco Rosi, Maria Callas, Damiano Damiani, Emanuele Macaluso, Enrico Berlinguer, Franco Basaglia, Goliarda Sapienza, Cristina Campo, Danilo Dolci, Mario Pomilio, Lorenzo Milani. Notevole anche il parterre degli studiosi che proveranno a mettere a fuoco una materia complessa, ognuno dal rispettivo campo d’indagine.

A corredare il convegno, sabato 22 ottobre, alle ore 18,30, nei locali della Fondazione verrà inaugurata la mostra, curata da Edith Cutaia e Vito Catalano, “Sciascia e Pasolini tra i documenti in archivio”. Saranno esposti gli articoli dei due scrittori che analizzano l’opera l’uno dell’altro, le lettere di Pasolini ricevute da Sciascia, e documenti che legano i due personaggi: lettere di Vincenzo Cerami, Enzo Siciliano, Nico Naldini e dello stesso Leonardo Sciascia, nonché i primi fogli del celebre dattiloscritto L’affaire Moro; il libro Il fiore della poesia romanesca, del 1952, curato da Sciascia e con premessa di Pasolini, e il volume Dal Diario di quest’ultimo, con introduzione di Sciascia. Dunque, attraverso le carte d’archivio si potrà osservare da più angolazioni il rapporto intenso che legò due fra i più grandi scrittori italiani del Novecento, che, nelle parole dello stesso Sciascia all’indomani della morte di Pasolini, “avevano pensato le stesse cose, dette le stesse cose, sofferto e pagato per le stesse cose”.

Per l’occasione abbiamo intervistato il professor Antonio Di Grado, critico letterario e saggista di vaglia, direttore letterario della Fondazione Sciascia.

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Professore, quanto mancano all’Italia attuale figure come Sciascia e Pasolini?

Manca, dalla loro scomparsa, la figura inaugurata dal J’accuse di Zola: quella dello scrittore-intellettuale e uomo-contro, capace di interpretare la realtà che lo circonda e smascherare le imposture che la inquinano. E ci manca la febbrile attesa con cui la mia generazione consultava sul “Corriere” o sulla “Stampa” gli editoriali di quei due grandi provocatori e demistificatori, maestri del dubbio e del dissenso, magari per dissentirne a nostra volta, ma sempre per acquisirne una lettura diversa, inedita, spiazzante della cronaca e del costume, che in ogni modo dilatava la nostra coscienza, metteva in discussione le opinioni che ci proponevano il Palazzo e i suoi vassalli.

Com’è nata l’idea di ampliare la riflessione ad una storia della cultura e delle forme espressive scandita per generazioni?

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In Spagna è una pratica corrente: si parla d’una “generazione del ’98” (quella di Unamuno e Machado), di quella poetica detta “del ’27” (Lorca, Salinas, Guillen, Cernuda, Alberti) e così via, e non a caso fu un grande ispanista, Oreste Macrì, a scandire per generazioni la storia della poesia italiana del Novecento. Ma senza seguito; e invece una prospettiva generazionale servirebbe a sostituire ai soliti medaglioni celebrativi la febbrile temperatura delle epoche di volta in volta indagate, a una storia unilineare e finalisticamente orientata il fecondo caos del confronto, dello scontro, del quotidiano e scomposto divenire dell’invenzione espressiva e della battaglia delle idee. Tanto più per una generazione come quella di cui tratta il nostro convegno e che definirei la generazione del ’56, quella del XX congresso del PCUS e dell’invasione sovietica dell’Ungheria, eventi che da ottimistiche illusioni la convertirono a solitarie e coraggiose scommesse intellettuali.

Al di là dell’evento legato ai centenari, quali strade percorrerà in futuro la Fondazione Sciascia per tenere viva la memoria e gli insegnamenti del grande scrittore di Racalmuto?

Da trent’anni la Fondazione si offre allo studioso come al curioso come un teatro della memoria, che grazie alle sue iniziative di studio e di confronto, alle mostre e alle pubblicazioni, alla biblioteca e al preziosissimo lascito della pinacoteca e dei carteggi sciasciani introduca nei numerosi percorsi intellettuali, letterari, civili aperti dallo scrittore. E in questa direzione proseguiremo, se assecondati dall’intermittente favore delle istituzioni.

La bibliografia critica su Leonardo Sciascia è molto estesa. Vi sono ancora, a suo giudizio, dei margini di studio, degli aspetti poco indagati della sua opera ed esperienza esistenziale?

Non a caso ho parlato di teatro della memoria: l’opera di Sciascia è un labirinto di percorsi, di spunti di ricerca, di azzardi intellettuali ed esistenziali. Vedo con piacere che una giovane critica – neolaureati, dottorandi, perfino internauti – vi si inoltra con entusiasmo e con ottimi risultati.

Lei è stato assessore alla cultura della città di Catania, e in molti è ancora vivo il ricordo delle “Estati catanesi” organizzate con il suo compianto amico Franco Battiato; è stato altresì presidente del Teatro Stabile di Catania: cosa le hanno insegnato quelle esperienze, nell’ottica di una proficua simbiosi tra riflessione critica, scrittura creativa ed una concreta attività politica e manageriale?

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Molto più viva e feconda la prima, nell’epoca irripetibile delle prime giunte scelte dai sindaci eletti dal popolo, fuori dalle gabbie della partitocrazia provvisoriamente emarginata da Mani Pulite. Ho fatto molto, credo, grazie alla collaborazione di figure meravigliose come Franco e al sostegno d’un sindaco come Enzo Bianco; ma soprattutto molto ho imparato, per esempio a superare – grazie alla diffusa creatività rintracciata e valorizzata nel territorio – i limiti di arcigna autoreferenzialità tipici della mia corporazione universitaria. La milanese Radio Popolare mi definì “l’assessore del rock”: e pensare che fino al mio insediamento avevo a malapena orecchiato qualcosa dei Beatles!

Ha in cantiere qualche opera creativa o saggistica?

Nei primi mesi dell’anno venturo uscirà con La nave di Teseo un mio libro sugli scrittori che parteciparono alla guerra di Spagna e/o ne scrissero: da Hemingway a Orwell, da Koestler a Malraux, da Simone Weil e Maria Zambrano a Dos Passos, Bernanos, Camus e parecchi altri, noti e meno noti, tra i quali non poteva mancare Sciascia, che aveva “la Spagna nel cuore”. Titolo provvisorio: La brigata delle ombre.

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