di Antonio Salvati
Amos Oz, morto a Tel Aviv negli ultimi giorni del 2018, si era già occupato della figura di Giuda, attraverso uno straordinario romanzo, intitolato appositamente Giuda ed edito in Italia da Feltrinelli, in cui il protagonista, lo studente Shemuel Asch, agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso, deve redigere una tesi sulla figura di Gesù vista dagli ebrei. Tesi rimasta incompiuta per una serie di motivi che vanno dalla crisi economica familiare a quella propria esistenziale. Il Giuda di Amos Oz – secondo l’idea di Shemuel Asch – scaturisce dalla forte consapevolezza che Gesù sia stato il più grande ebreo di tutti i tempi, nato e morto ebreo. Mai entrato in una chiesa. Giuda è di Keriot, ed è un benestante. Pertanto, Oz nutre forti dubbi sulla vicenda dei 30 denari, secondo la quale a questo uomo esperto di burocrazia romana e membro della casta sacerdotale, viene chiesto di seguire il noto predicatore della Galilea. Nel romanzo Giuda assume il compito, restando colpito dal fascino di questo predicatore e dall’umanità del suo messaggio d’amore. Finisce per credere in lui «molto più di quanto lui non credesse in sé stesso». In particolare Giuda pensa che Gesù sia il redentore e lo spinge a rivelarsi a Gerusalemme, durante la festa pasquale, quando vi confluiscono tutti gli ebrei, a rivelare la sua onnipotenza dinanzi al sinedrio e a Roma.
Amos Oz – dicevamo – ritornerà sulla figura di Giuda. Questa volta con un saggio, non un romanzo, in cui il terreno privilegiato è la finzione più che di fatti eminentemente storici. Si tratta di un intervento di apertura a una conferenza luterana, tenutasi a Berlino nel 2017. Questo testo di Oz è divenuto un breve ed agile volume, intitolato Gesù e Giuda, anch’esso edito da Feltrinelli (2022, pp. 62 € 8), con un’introduzione di Erri De Luca. L’autore si chiede chi è Gesù per un ebreo? E Giuda? Se la figura di Giuda – si domanda Oz – è alla base dell’antisemitismo cristiano, possiamo immaginare che la relazione fra Gesù e Giuda sia stata diversa da quella raccontata finora? Oggettivamente, Amos Oz ci fornisce una rilettura brillante, inedita, iconoclasta, irriverente, romantica e personale delle figure di Gesù e Giuda.
Erri de Luca ricorda, giustamente, che la cristianità ha lentamente riconosciuto che Gesù era ebreo. È ancora poco risaputo «che anche i primi pontefici erano tali e pure i primi martiri cristiani. Per la maggioranza dei suoi secoli, la cristianità ha voluto leggere di sfuggita la pagina uno del suo testo iniziale, il Vangelo di Matteo, che esordisce con un elenco di nomi da Abramo fino a Gesù. È l’albero genealogico di una delle dodici stirpi di Israele, che prendono origine dai figli di Giacobbe. È la preziosa discendenza che nella tradizione cristiana comprende l’arrivo del Messia». Eppure il nome proprio di Giuda è divenuto sostantivo che definisce il traditore per eccellenza. Com’è noto, Giuda è stato facilmente assimilato a giudeo, resta la figura più malvista della cristianità, determinando – precisa De Luca – «i sentimenti cristiani di antisemitismo e l’inconcepibile accusa di deicidio», seppur furono i romani occupanti a processare Gesù e a condannarlo a morte. Il nome Giuda/Iehudà è il capostipite delle generazioni che passano per Davide e arrivano fino a Gesù come possiamo rilevare dalle prime pagine del Nuovo Testamento. Occorre ricordare che gli ebrei si chiamano anche giudei proprio «da quel capostipite iscritto all’albo del Messia, non per via di Giuda Iscariota».
Un importante studioso di storia ebraica Joseph Klausner, zio di Oz, amava sostenere che Gesù non era cristiano, non era stato battezzato e non si confessava. Non solo. Non frequentava chiese (che evidentemente non esistevano), ma sinagoghe. Ovviamente ignorava la festa di Natale. Seguiva puntualmente le festività ebraiche ed era circonciso. Amos Oz da giovane lesse i Vangeli provando ammirazione per Gesù, seppur avendo elementi di dissenso come l’offerta dell’altra guancia all’aggressore, anche se – osserva De Luca – l’invito di Gesù «riguarda la persona e non un popolo oppresso che legittimamente reagisce».
Inoltre – dicevamo – Oz trova «illogica e insensata» la vicenda del «bacio più famoso della storia, ancora più famoso del bacio di Romeo e Giulietta». Gli «infami trenta pezzi d’argento»corrispondevano pressappoco all’equivalente di seicento euro. Essendo un agiato proprietario terriero della Giudea perché avrebbe dovuto vendere il suo maestro? Perché avrebbe dovuto impiccarsi subito dopo? Per Oz è «semplicemente incomprensibile». Del resto, tutta Gerusalemme conosceva Gesù. Perché dare soldi per baciarlo in modo da rendere possibile il suo arresto?
Il Giuda di Amos Oz – sempre nell’ipotesi di Shemuel Asch – pensa che Gesù sia il redentore e lo spinge a rivelarsi a Gerusalemme, durante la festa pasquale. Rivelarsi facendosi crocifiggere, per poi scendere dalla croce vittorioso sulla morte. Gesù «aveva solo in mente di continuare a procedere su questa terra, a guarire i malati e saziare gli affamati e seminare nei cuori amore e compassione. Nulla di più. L’ho amato con tutto me stesso e ho creduto in lui con fede assoluta. Io l’ho amato come Dio. Lui ha preso il posto di Dio, nel mio cuore. Lui era Dio per me. E io credevo che la morte non potesse toccarlo». Invece Gesù spira dopo ore di sofferenza e lascia Giuda distrutto dal tragico epilogo. Giuda ha sbagliato a confidare ciecamente in Gesù. Se ne avvede ora, quando è stato… tradito. E il famoso tradimento di Guida? Non tanto il bacio che non c’entra assolutamente ma, scrive Oz, «sempre che ci sia stato, avviene al momento della morte in croce di Gesù. Il momento in cui Giuda perde la fede. E insieme alla fede perde il senso della vita». E non gli resta, prima di impiccarsi, che dire, a un cane e a una stella, non agli uomini perché adesso coglie che sarebbe fiato sprecato: «non credere».
In conclusione, potremmo dire che gli scrittori sviluppano quella naturale attitudine a considerare la scrittura un metodo di indagine sull’uomo, inteso come unità misteriosa su cui è impossibile mettere un punto definitivo. Amos Oz, riflettendo insieme alla figlia Fania Oz-Salzberger sul significato da attribuire al termine verità rilevava che i noti personaggi biblici Abramo e Sara potrebbero anche non essere esistiti. Eppure la loro storia ha cambiato il mondo. Anche la verità letteraria non si basa sui fatti: Amleto non è una figura storica, ma attraverso di lui Shakespeare continua a svelarci qualcosa che si annida nella profondità della natura e dell’esperienza umana. «I fatti possono essere i peggiori nemici della verità», disse significativamente Amos Oz. Un racconto d’invenzione può riuscire a toccarci in maniera molto più autentica e decisiva rispetto alle notizie riportate da un giornale o da un testo sacro.