di Gianluca Mazzei
Il romanzo “Maus”, che narra la tragedia dell’Olocausto a fumetti, è uscito in due volumi, tra il 1986 e il 1991. Nel 1992 ha vinto il premio Pulitzer, caso unico per una graphic novel.
L’autore, Art Spiegelman, è un disegnatore statunitense, figlio di due deportati polacchi sopravvissuti ad Auschwitz, Vladek e Anja. È stato uno dei fondatori della rivista di fumetti e grafica Raw. È stato anche direttore artistico e copertinista del “The New Yorker”.
Art è nato a Stoccolma il 15 febbraio 1948 e pochi anni dopo si è trasferito negli Stati Uniti con la famiglia. A venti anni è stato ricoverato in un ospedale psichiatrico per abuso di stupefacenti. Poco dopo la sua dimissione, sua madre, una donna fragile sin dai tempi del nazismo, si suicidò.
Sul finire degli anni ’70 Art fece frequenti visite al padre, ormai risposatosi con un’altra deportata, Mala. Le visite avevano uno scopo preciso: ricostruire in un romanzo a fumetti le vicende dei genitori durante l‘avvento del nazismo.
La storia ha due archi temporali che si sovrappongono: il primo racchiude gli anni ’70, durante le visite di Art al padre, il secondo racconta le vicissitudini dei genitori durante gli anni del potere di Hitler, tra la metà degli anni ’30 e gli anni ’40.
“Maus” è un’opera notevole perché, in una forma di arte considerata “inferiore” quale è quella del fumetto, riesce a fotografare in una maniera molto efficace e realistica l’Olocausto.
Il romanzo è scritto sotto forma di metafora, perché non sono disegnati gli esseri umani, ma altre specie di animali. Gli ebrei sono rappresentati come topi, i nazisti come gatti, i polacchi come maiali, i francesi come rane, gli inglesi come pesci, gli svedesi come renne e gli americani come cani.
Nel corso dell’opera si evidenzia come l’Olocausto abbia segnato profondamente il padre dell’autore, Vladek, ma questi non viene raffigurato dal figlio come un martire, bensì come un qualsiasi essere umano, con i suoi pregi e i suoi difetti. E si rivela il grande amore di Vladek per la moglie, ma anche la sua avarizia e la sua presunzione.
Vladek ha sempre avuto un rapporto difficile con il figlio, fatto di scarsa comprensione e taciti rimproveri, a causa delle troppe differenze nel carattere e, soprattutto, nel vissuto. Art avverte che il padre lo tratta quasi con sufficienza sin dai tempi della sua infanzia e per questo gli serba profondo rancore.
Alla morte della madre, Art rimane profondamente turbato per il comportamento, a suo dire, inadeguato e scomposto del padre. Quest’ultimo è inoltre un ebreo ortodosso, per cui quando il figlio si sposa con una donna non ebrea, la costringe, prima del matrimonio, a convertirsi all’ebraismo. Vladek si dimostra inoltre ostile e paranoico anche con la seconda moglie, Mala, portando i due coniugi a frequenti litigi.
L’infanzia di Art è stata certamente segnata dalla storia dei genitori: questa gli ha lasciato un profondo senso di colpa per non essere mai riuscito a percepire pienamente l’Olocausto, così come gli è stato trasmesso dal padre. Per questo finisce da uno strizzacervelli a cui confida di sentirsi una nullità di fronte alla figura carismatica del genitore. Inoltre Art avverte un complesso di inferiorità e si sente sotto pressione a causa del suo mestiere di fumettista e prova un senso di inadeguatezza e di pudore nello scrivere “Maus”. Per questo motivo bisogna capire perché Art Spiegelman abbia aspramente criticato Roberto Benigni per il suo film “La vita è bella”, definendo orribile e pericoloso il progetto del noto regista italiano, che, secondo lui, ha usato in una maniera indelicata l’ironia, parlando dell’Olocausto.
Sebbene la pubblicazione dell’opera abbia ricevuto un grande consenso di critica e di pubblico, l’autore rimase ugualmente insoddisfatto e pieno di rimorsi che il successo non riuscì a mitigare.
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