Lo considerano il padre del socialismo democratico o il padre del riformismo. Ma all’epoca ebbe grandi contrasti politici con comunisti e socialisti per la sua opinione che non escludeva forme di collaborazione con la borghesia liberale pur di fare riforme in favore degli strati popolari.
Nato a Canzo, provincia di Como, nel 1857, Filippo Turati era figlio di un alto funzionario statale. Intrapresi gli studi giuridici, si laureò nel 1877 all’università di Bologna per poi trasferirsi con la famiglia a Milano, dove frequentò A. Ghisleri e R. Ardigò, e iniziò la carriera di pubblicista come critico letterario. Negli anni successivi si avvicinò agli ambienti operai e socialisti e attraverso Anna Kuliscioff, compagna alla quale si legò per tutta la vita a partire dal 1885, entrò in contatto con alcuni esponenti della socialdemocrazia tedesca. Proprio in questo periodo Turati aderisce al marxismo.
Nel 1889, insieme alla Kuliscioff, fondò la Lega socialista milanese, con l’obiettivo di creare un centro di aggregazione delle forze socialiste, primo passo verso la formazione di un partito autonomo della classe operaia. Questa azione, nel cui ambito si collocò la pubblicazione della rivista Critica sociale, culminò nel 1892 nella fondazione del Partito socialista dei lavoratori italiani (che dal 1895 assunse la denominazione Psi), cui Turati diede un contributo decisivo. Deputato a partire dal 1896, fu arrestato in occasione dei moti del 1898 e condannato a dodici anni di reclusione. Ma uscì di prigione l’anno successivo.
Leader riconosciuto della corrente riformista, di fronte alla nuova fase politica avviata da G. Giolitti, Turati sostenne la necessità di appoggiare la borghesia liberale in un’ottica gradualistica. Antimilitarista, osteggiò la guerra in Libia (1911) e l’intervento italiano nel conflitto mondiale; nel dopoguerra il suo ruolo all’interno del Psi ormai guidato dalla componente massimalista, scemò.
Per Turati il fascismo non era solo mancanza di libertà ma minaccia per l’ordine mondiale: Turati individuava elementi comuni tra fascismo e comunismo sovietico perché entrambi ripudiano i valori del parlamentarismo. Le sue tesi erano in collisione con la dottrina del socialfascismo adottata fino al 1935 dal Comintern e quindi dal partito comunista italiano
Espulso dal partito, nel 1922 diede vita, con Matteotti, al Psu. Nel 1926, dopo una fortunosa fuga organizzata da Parri, Rosselli e Pertini, si stabilì a Parigi, dove contribuì, nel 1929, alla costituzione della Concentrazione antifascista e, l’anno successivo, alla fusione socialista. Morirà a Parigi, il 29 marzo 1932, all’età di 75 anni