Quando penso a Franco Battiato non riesco ad essere un professionista. Nemmeno a ricordarmi di esserlo: ricordo l’emozione di avere comprato la cassetta de La Voce del Padrone nell’Estate del 1982 e ricordo di avere sentito Cuccuruccuccù Paloma a tutto volume in un autoscontro a San Vincenzo quell’estate, ma i vari incontri professionali, le interviste, i concerti, la prima di Gilgamesh a Roma negli anni Novanta, ecco quelli sembrano un altro racconto.
Battiato è stato ed è parte della mia vita adulta da che io mi ricordi. Sceglievo le sue cassette prima, i suoi Lp e Cd dopo con cura prima di ascoltarli nel mio Stereo. Oggi la sua playlist mi accompagna su Smartphone Device domestici: lo spirito di Battiato è sempre con me. Soprattutto adesso che con RS productions e la produzione esecutiva di Nativa sono a metà delle riprese di E ti vengo a cercare – Franco Battiato: La Voce del Padrone, possibile capolista di una serie di ritratti di autori italiani, scritto insieme alla leggenda del rock italiano, l’ex produttore Stefano Senardi che ne è anche la guida.
Preparandomi per raccontare Battiato ho letto tanto, molto, forse, tutto. Un giorno, però, mi sono ricordato che anche io avevo intervistato Franco Battiato. Interviste che avevo rimosso, per pudore o perché, più probabilmente, Battiato per me era ed è una guida spirituale, un pensatore, un filosofo. Le ho rilette e penso che valga la pena, leggermente rieditate, di condividerle anche se di queste interviste ricordo poco, pochissimo…
“La storia è strumentale a tale finalità” spiega Franco Battiato “Giulio B., anche se in pensione, continua a esercitare la sua vecchia professione, insegnare ‘Antropologia culturale’ presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. È ateo e ha una vera passione per le feste etnico-popolari. Dovunque ci sia una rappresentazione curiosa e intrigante, c’è lui a documentare, intervistare, e archiviare. È appunto il tentativo di assistere e riprendere una festa del fuoco di origini pre-cristiane che lo porta a smarrirsi in un bosco. Troverà riparo e ospitalità in una casa in cui si sta svolgendo un incontro singolare e lì sarà coinvolto in un’esperienza travolgente e unica. Con questo film ho voluto mettere il punto sulla mia ricerca mistica. Pratico la meditazione da trentasette anni e ho frequentato tutte le religioni possibili, perché sono onnivoro e quello che ho provato in questi anni ho tentato di distillarlo in Niente è come sembra. Questa è la mia formazione spirituale, dove la ricerca è sempre più interessante del punto di arrivo. Io sono entusiasta della mia strada.”
Dopo tre film abbiamo ‘la prova’ che quello con il cinema non è un rapporto ‘sporadico’…
Non è un gioco, né un divertissment: e nemmeno uno scherzo. Il tipo di cinema che faccio è molto personale e specializzato e, forse, è più giusto che venga mostrato direttamente in Dvd in modo che chi vuole seguire questa via possa farlo davvero: se lo guarda, si ferma, ripensa a quello che viene detto. Se non sei particolarmente interessato, è un film difficile da seguire…
È un lavoro di contaminazione come quello che – in altri campi – ha portato avanti in questi anni…
È proprio così.
È una sfida?
No. E’ uno stile. Con il mio secondo film ho dovuto sopportare l’incontro pubblico con due critici che mi accusavano di non utilizzare la sintassi cinematografica. “Ma cosa stai dicendo? Cosa significa?”. Sono sorpreso da questa ignoranza volta a incasellare tutto in formule precise e dogmatiche. Il cinema è un mezzo d’espressione che riflette lo spirito di chi lo usa. È come quando qualcuno ha accusato Manoel De Oliveira di muovere poco la macchina da presa e lui ha risposto “A me piace così…”. Il regista fa quello che vuole, altrimenti se lo facessero loro il film! Il godimento e la fruizione sono personali. Io non riesco a sopportare un tipo di cinema ed è naturale ne faccia un altro. Non ho più vent’anni e quello che scelgo di fare è anche quello che mi corrisponde.
Quali ama di più?
Quelli riusciti. Ho interrotto The Departed dopo mezz’ora nonostante abbia amato molto le ultime commedie con Jack Nicholson. Sono rimasto estasiato dalla bellezza di Sarabanda di Bergman…
Non sente una certa aspettativa da parte del pubblico?
Si può discutere tutto di me, anche il mio talento, perché non mi farebbe nessuno effetto. Nessuno, però, può mettere in dubbio la mia serietà. È questa che mi porta a fare i conti solo con l’opera. Impazzirei se dovessi pensare a qualcuno che si attende qualcosa da me. Mi curo solo delle sempre mutevoli esigenze dell’opera stessa. Questo è il fascino dell’Arte. Non c’è una regola fissa. L’Arte ha delle necessità che vanno rispettate.
Nel suo essere rigoroso ha sempre seguito una linea un po’ insolente ed anarchica…
I critici, nei secoli, hanno scritto cose immonde ed ignominiose di capolavori che vanno dalla nona sinfonia di Beethoven a Barry Lyndon di Stanley Kubrick. Può essere attendibile una categoria di questo tipo? I critici andrebbero espulsi dal pianeta per sempre: nessuno può contestare che a loro non piaccia qualcosa, ma sentirsi di dovere incarnare lo spirito del pubblico intero e procedere per assoluti proprio non va.
Parliamo di una canzone come Povera Patria che è diventata l’inno di un’Italia che rifiuta un certo tipo di corruzione e di violenza…
Quando scrissi Povera Patria volevo esprimere qualcosa che riguardasse le nuove generazioni. Un messaggio, una specie di monito affinché ci si rendesse conto di dove si stava precipitando. Questa canzone, che è quella più impegnata di tutte, raccoglie ogni sera il numero di consensi più alto da parte degli spettatori.
Recentemente lei ha dichiarato che il futuro della musica sta nei giovani gruppi americani come gli Smashing Pumpkins e Nine Inch Nails. Ci vuole spiegare perché ?
Io sono molto sensibile ai talenti. Anche se il loro genere musicale non mi piace, trovo che questi ragazzi abbiano un enorme talento. Oggi rappresentano davvero qualcosa di nuovo.
Cosa pensa di gruppi come i Dead Can Dance che, su un altro versante, portano avanti una ricerca musicale colta e ispirata ?
Devo dire che non mi appassionano molto. Lasciano un po’ il tempo che trovano…
Perché dopo molto tempo la sua musica si è orientata nuovamente verso il rock ?
Era quello che volevo : cambiare. Era quello che sentivo giusto fare. Volevo cambiare e sperimentare ancora. Non mi va di restare chiuso in una scatola e aspettare, fossilizzandomi.
Qualcuno, però, la accusa di incoerenza…
Dio ci scampi dalla coerenza. Per un musicista significherebbe una noia mortale.
Molti suoi fans si lamentano che i suoi dischi durano solo trentacinque o quaranta minuti al massimo…
L’imboscata dura di più, ma francamente non mi sembra che la musica vada misurata a chili.
Lei sta scrivendo un’altra opera. A che punto è ?
Ad un punto morto, perché ho fatto appena in tempo a scrivere il prologo prima di essere sommerso dagli impegni. Eppure il prologo è già tanto perché in una qualche maniera segna la cifra stilistica che, poi, avrà tutta la composizione. Dopo dicembre riprenderò a lavorarci alacremente.
Lei ha sempre avuto una sensibilità molto profonda verso il mondo che vive e si evolve intorno al mare Mediterraneo. Come valuta la situazione che si è verificata in Albania e quella con i Curdi ?
Con una grande pena. Soprattutto perché mi sembra impossibile se non assurdo, fermare questi flussi migratori da sempre presenti nella storia dell’umanità. Quello che è accaduto in Albania e al popolo curdo è davvero terribile.
Lei aveva, in una qualche maniera, preconizzato tutto questo vent’anni fa in una canzone che si chiama Strade dell’est…
Sì, ma, forse, è solo una pura casualità.
Allora non si sente un profeta come molti la definiscono?
Ma per carità…
Tornando al discorso cinematografico: qual è la sua idea del rapporto tra cinema e realtà?
Oggi è assurdo fare film che prendano ispirazione dal reale, quando Internet e la televisione ci riportano la crudeltà della realtà in maniera irriproducibile. Trovo orribile un cinema fatto di pistole e violenza. Io non voglio copie stantie, ma puntare ad altro. L’Arte non può essere imitazione della realtà. Significa a svilire un mondo eccelso.
E ti vengo a cercare – Franco Battiato: La Voce del Padrone
Di Marco Spagnoli con Stefano Senardi, Alice, Morgan, Mara Maionchi, Oliviero Toscani, Caterina Caselli, Andrea Scanzi, Paolo Buonvino, Pino Pinaxa, Alberto Radius, Eugenio Finardi e molti altri amici di Franco Battiato, prodotto da RS Productions con Nativa sarà pronto per l’estate 2022.