«L’ebraismo mondiale è stato durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo. In Italia la nostra politica ha determinato negli elementi semiti quella che si può oggi chiamare, si poteva chiamare, una corsa vera e propria all’arrembaggio». Così Benito Mussolini 75 anni fa, ovvero il 18 settembre 1938, a Trieste. È l’annuncio delle leggi razziali, che saranno approvate qualche mese più tardi, in novembre, dal consiglio dei ministri.
L’occasione è la più solenne: la celebrazione del ventennale della vittoria nella Prima guerra mondiale. Il fascismo, nato da una costola del socialismo, è privo di pedigree politico e quindi per nobilitarsi si impossessa della vittoria del 1918, trasformandola in vittoria fascista. Il tutto è facilitato dall’identificazione tra arditismo e fascismo delle origini. L’anniversario dei vent’anni da Vittorio Veneto viene sfruttato per completare il processo (è di quei giorni il conio dell’espressione «razza Piave, purissima razza italiana», ricicciata dal segretario del Pnf, Achille Starace, in precedenza riferita a una razza equina, e ripescata negli anni Cinquanta da Gianni Brera con riferimento ai calciatori di origine veneta). E quindi Mussolini utilizza la ricorrenza per annunciare il prossimo varo delle leggi razziali.
Trieste è la prima tappa di un viaggio che porterà il duce lungo tutto il fronte della Prima guerra mondiale, dal Carso, al Piave, al Grappa. E l’adunata oceanica in piazza dell’Unità d’Italia è scelta per affermare che «il problema di scottante attualità è quello razziale. Anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie» (sono sempre parole di Mussolini). Un altro motivo, che doveva essere ben chiaro al capo del governo e duce del fascismo nella decisione di pronunciare quelle parole nella città che era stata asburgica per 500 anni, consisteva nel fatto che Trieste era, in termini relativi, la città più ebraica d’Italia (in termini assoluti il primato andava a Roma). Non a caso la sinagoga di Trieste, inaugurata nel 1912, è, assieme a quella di Budapest, la più grande d’Europa.
«Il Duce all’Italia e all’Europa. Parola di giustizia e fierezza romana», titola il Corriere della sera di lunedì 19 settembre 1938, con tutte le maiuscole al posto giusto. Nel riferire degli avvenimenti del giorno prima compie anche un’involontaria gaffe, infatti l’occhiello di prima pagina scrive «Nella gloria di Trieste fedelissima», senza rendersi conto che «fedelissima» era il titolo riservato a Trieste dagli Asburgo. L’editoriale di prima pagina è firmato da Aldo Valori, giornalista fiorentino che oggi viene definito «fascista critico», ma che, almeno dalle parole di questo scritto, tanto critico non pare. Sul cosiddetto «problema ebraico» osserva: «Quanto alle soluzioni che sono allo studio, esse saranno improntate a un senso di giustizia che non può stupire chi sappia – ed era facile immaginarlo – che Mussolini se ne interessa personalmente. Si tratta d’altronde di una questione di principio che ha un contenuto squisitamente nazionale e politico, il fascismo si è prefisso di risolverla».
Erano giorni, quelli, di altissima tensione perché in Europa si discuteva della questione dei Sudeti, regione cecoslovacca al tempo abitata da una maggioranza di tedeschi. Il Corriere della sera (e con lui tutta la stampa, strettamente controllata dal regime), batte sul tasto della congiura giudaico-massonica e comunista. Un modo per preparare la strada ai provvedimenti anti ebraici. Il giornale di domenica 18 («Il Duce sarà oggi a Trieste» è il titolo a tutta pagina) nel sommario scrive: «Praga aizzata dall’alleanza moscovito-giudaica è in preda al furore bellico. Caccia feroce al tedesco sudetico».
Tanto per fare un ulteriore esempio, preso a caso, il 4 settembre, riferendo i retroscena dalla guerra di Spagna di due anni prima, il Corriere a pagina 5 titola: «L’“occulto potere” del giudaismo massonico al soccorso dei rossi nel retroscena del “non intervento”», e il catenaccio va giù ancora più duro: «Come un protocollo diplomatico, suggerito dall’Internazionale ebraica, fu adoperato per mascherare la più perfida violazione di accordi che la Storia abbia mai registrato» (le maiuscole sono nell’originale). E più sotto, titolo su tre colonne: «L’invadenza ebraica in Italia», sommario: «Nomi di illustri casate italiane usurpati dai giudei». Più sotto ancora, in una corrispondenza dal titolo «L’infiltrazione ebraica nell’Alto Adige» si spiega: «Numerosi ebrei provenienti dalla Germania, dall’Austria, dalla Polonia si sono qui stabiliti attratti dalla possibilità di guadagno. A Merano una buona parte del medio e piccolo commercio è nelle loro mani. I medici e gli avvocati per metà sono ebrei. A Bolzano si sono intrufolati dappertutto. Sono giunti con le pezze ai calzoni e ora hanno le automobili». È evidente che si sta preparando l’opione pubblica a una giravolta di 180 gradi, visto che tra i fascisti della prima ora si contavano numerosi ebrei.
E infatti si arriva puntuali all’11 novembre, quando il titolo a tutta pagina del Corriere è «Le leggi per la difesa della razza approvate dal consiglio dei ministri». Sommario: «I matrimoni misti sono proibiti. L’esclusione dagli impieghi statali, parastatali e di interesse pubblico. Le norme concernenti le scuole elementari e medie e gli insegnanti». Una nota non firmata suggella queste leggi come «lo statuto razzista della Nazione italiana».