“Manodopera”: il film che parla di quando gli immigrati eravamo noi italiani

Il lungometraggio, in stop motion, parla della vita da emigrati affrontata dai nonni del regista, quando erano i nostri connazionali a essere discriminati.

“Manodopera”: il film che parla di quando gli immigrati eravamo noi italiani
Manodopera
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4 Agosto 2023 - 11.27 Culture


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È un film che oltre a ripercorrere la nostra storia risulta estremamente attuale, ricordandoci che anche noi siamo stati dei migranti. Si tratta di “Manodopera”, pellicola in stop motion firmata da Alain Ughetto che traccia la storia di una famiglia di migranti italiani del primo ‘900.

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Come afferma il regista si tratta di un film “Che ho fatto per me, per i miei figli, per i giovani, perché conoscere le proprie origini, sapere da dove si viene è fondamentale”. Una storia che si rivolge a noi tutti “con i migranti, che continuano a essere discriminati e male accolti in Francia, in Italia, ovunque”. Il lungometraggio, presentato in svariati festival internazionali, ha già vinto decine di riconoscimenti, tra cui l’Efa per il miglior lungometraggio d’animazione europeo o i Premi della Giuria e Fondazione Gan per la Distribuzione all’Annecy International Animation Film Festival 2022.

In scena le vicissitudini dei nonni di Ughetto, vissuti tra povertà, fame, guerre, malattie e, soprattutto, migrazione. Prima dell’arrivo nelle sale, fissato per il 31 agosto con la Lucky Red, il lungometraggio verrà portata in tour a fianco del regista e affiancato da una mostra presso il museo della Migrazione italiana di Genova aperta dal 5 agosto. La colonna sonora, firmata dal premio Oscar Nicola Piovani, nasce “dal racconto che mi faceva mio padre, di un paese piemontese, Ughettera, la terra degli Ughetto, dove tutti avevano il nostro cognome. Sono andato a visitarlo, e poi grazie a un libro di Nuto Revelli Il mondo dei vinti, ho approfondito come fosse la vita in quelle zone all’epoca di mio nonno e mia nonna. Avevo già sentito in famiglia alcune storie e ho deciso di raccontare l’odissea di chi ha vissuto in quegli anni”.

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Dopo aver utilizzato la stop motion già in “Jasmine”, raccontando l’amore tra un’iraniana e un francese negli anni ’70, in “Manodopera” Ughetto ricorre a materiali come resina, tessuto e caucciù affiancandoli ad altri come zucchero, carbonella, broccoli e castagne direttamente collegati alla vita dei suoi antenati.

“La stop motion è un linguaggio poetico che permette di trovare una distanza, dare un’universalità a una storia che racconta tre generazioni e richiama anche all’oggi” commenta Ughetto ai giornalisti. “Film come Lo scopone scientifico, Brutti sporchi e cattivi, La strada hanno nutrito la mia immaginazione… volevo riproporre quell’umorismo elegante con cui il cinema italiano sapeva parlare anche delle cose più terribili”.

Ci si sposta dunque nel Piemonte dei primi del ‘900, nel paese di Ughettera, in cui il reduce di guerra Luigi Ughetto, a seguito del sogno infranto di approdare in America, si trasferisce in Grancia assieme alla famiglia. Lo attenderà una nuova vita piena di discriminazioni, altre guerre, lutti e nuovi inizi. La voce narrante è quella della nonna di Ughetto, Cesira, con cui il regista instaura un dialogo diretto. “Sono il nipote di Cesira e Luigi, non sarei qui senza di loro, senza la loro fatica, i loro sacrifici. È un modo per ricordarlo e ringraziarli. Per farlo racconto la loro storia d’amore alla mia maniera”

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Le discriminazioni che gli avi di Ughetto dovranno affrontare sono riassunte nel titolo originale del film, “Interdit aux chiens et aux italiens”. “Era un cartello che si trovava in Francia, Svizzera, Belgio… l’ho incluso anche in una scena. È un segno di quei tempi e di un razzismo che continua anche oggi verso altri migranti” conclude Ughetto.

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