“L’architettura dovrebbe rivolgersi alle persone comuni, non a coloro che hanno tanto denaro e che detengono il potere” e può contrastare l’ingiustizia sociale. Alla Biennale di architettura in corso a Venezia fino al 26 novembre “The Laboratory of the Future”, curata dalla scrittrice,, architetta e studiosa ghanese-scozzese Lesley Lokko, risalta lo sforzo di e immaginare una società più equa disegnando in maniera diversa case, luoghi, città, ambienti sociali. Una coppia di architetti inserita nel percorso espositivo all’Arsenale esprime efficacemente questo indirizzo: Tara e Lanre Seun Gbolade.
Londinesi nati in Nigeria nel 1985, compagni di vita e di professione, Tara e Lanre Seun Gbolade con la loro installazione “Regenerative Power” del Gbolade Design Studio nella sezione “Dangerous liaisons” all’Arsenale di Venezia mostrano attraverso immagini, pannelli, foto, video, la comunità londinese di Brixton, originaria dei Caraibi e delle Indie occidentali che arrivò nel dopoguerra dal Regno Unito: comunità che servivano come manodopera eppure hanno conosciuto sulla propria pelle il razzismo, la discriminazione, l’ingiustizia sociale. Piante maligne che Tara e Lanre Seun Gbolade cercano di estirpare con una pratica retta da un forte pensiero etico indirizzato alla vita collettiva. Ecco cosa hanno detto a “Globalist”.
Cosa cercate di raccontare mostrando alla Biennale video, storie e altri materiali invece di progetti architettonici?
Tara: Per noi era davvero importante parlare del potere rigenerativo delle persone, del luogo e del Lloyd Leon Community Centre a Brixton, a Londra. Volevamo parlare di come affiancare queste persone ci rende più capaci di generare il miglior progetto in grado di aiutarli e allo stesso di avere un impatto nella comunità locale.
Lanre Seun: Questo progetto vuole mostrare la capacità dell’architettura di modellare e influenzare le comunità a fianco di pratiche sociali, economiche e ambientali. Al cuore di ciò qui troviamo il domino: è un gioco praticato moltissimo dalle comunità dalle Indie occidentali e caraibiche ed è un aspetto culturale molto importante. Abbiamo voluto mostrare la forza di questo gioco, come riunisca la comunità, come la influenza, e proiettare il passato nel futuro attraverso lo scorrere delle generazioni. Quando le comunità si riuniscono intorno al domino scatta una forza rigenerativa.
Da quanto si vede nella Biennale di architettura in corso questo vostro approccio si lega molto al tema dell’ingiustizia sociale. Concordate? A vostro parere l’architettura può intervenire contro l’ingiustizia sociale?
Lanre: Assolutamente sì. Sia da una prospettiva climatica, in termini di decarbonizzazione, ma anche dalla prospettiva della giustizia sociale l’architettura ha il potere di rigenerare persone, città, comunità: l’architettura è per le persone, il popolo, non è di coloro che hanno tanto denaro e che detengono il potere.
Però finora l’architettura è stata per lo più creata per ricchi o per istituzioni, non per le persone comuni.
Lanre: L’architettura dovrebbe rivolgersi alle persone comuni. Creiamo i nostri progetti attraverso molti incontri sul modo con cui possiamo aiutare le persone socialmente ed economicamente diseredate, come possono riunirsi, per dar loro voce non solo costruendo architettura ma anche quali considerazioni sociali ed economiche vanno discusse in modo che emerga una buona architettura per gli abitanti, in modo che possa anche aiutare chi è marginalizzato a farsi avanti e avere un giusto sviluppo economico e sociale.
La domanda è cosa può fare l’architettura contro l’ingiustizia sociale.
Tara: È importante riconoscere che per noi l’architettura non è soltanto il prodotto finale, una costruzione, ma è il processo architettonico stesso. Coinvolgere le persone-chiave di una comunità nel processo creativo per dar vita al loro genere di architettura si traduce nel potenziare il rapporto tra il professionista e la comunità e viceversa: noi stessi veniamo rafforzati da questo processo. Bisogna comprendere che l’architettura non solo risponde a sfide particolari ma risponde criticamente anche alle sfide sociali, che le persone sono in grado di partecipare al processo creativo e di sviluppo come di co-creare la forma di architettura a loro più adatta.
Giusto, tuttavia costruire richiede denaro. Anche per tirar su una semplice casa.
Lanre: È importante rendersi conto che il clima stesso in cui ci muoviamo richiede organizzazioni capaci di andare oltre il mero consumo capitalistico, che sappiano intervenire nella prospettiva di una governance anche sociale ed economica. Numerose organizzazioni producono progetti di rigenerazione dove si assicurano che le comunità locali partecipino e dove è necessario incamerare idee anche da un punto di vista generazionale.
Specialmente a Londra e nel Regno Unito questo processo di coinvolgimento diventa sempre più importante. Come ha appena detto Tara, stiamo affrontando questo processo con successo e ci assicuriamo che le comunità locali ne vengano rafforzate, che sostengano queste iniziative invece di sentirsi semplicemente dire che determinati progetti verranno impiantati dall’alto.
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