Non sono passati molti anni da quando Eco, in un’illuminante intervista, aveva rimarcato come i social network dessero libertà di parola anche agli “imbecilli”, amplificando soprattutto il raggio dei loro messaggi.
“Prima, gli imbecilli parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, e non danneggiavano la collettività”, è l’inizio della celebre citazione, che continua spiegando come online un premio Nobel e un alticcio avventore di bettole, ebbro della sua stessa ignoranza, abbiano lo stesso diritto di parola.
Una riflessione che può essere più o meno condivisibile, ma sembra che a oggi il punto sia un altro. Le discussioni sui social, infatti, più che vaneggiamenti di alle volte pure simpatici ed eccentrici personaggi, somigliano sempre più ad incontri di boxe. Anzi, neppure di boxe si potrebbe parlare, perché quantomeno in quello sport vige il rispetto per l’avversario, ma sarebbe più opportuno definirli come incontri clandestini senza esclusione di colpi alcuni. Sono ammesse randellate nei denti, calci negli stinchi e colpi all’inguine. Prospettiva, questa, a mio parere più inquietante rispetto a qualcuno che si limita a “spararla grossa”.
Sul ring ci finiscono proprio tutti e le percosse partono da ogni dove: ci finisce una capretta massacrata e uccisa a calci e ci finisce pure l’uomo che ha ucciso l’orsa Amarena. La prima oggetto di una cieca quanto immotivata crudeltà, il secondo bersagliato da centinaia di commenti che gli augurano il peggio e che ho deciso di non riportare. “Ma quell’uomo ha sbagliato, uccidere l’orsa è stato un atto turpe, indegno, ed è giusto che gli torni quello che ha dato”, potrebbe commentare qualcuno dalla pancia molle che crede nella legge del taglione. Del primo episodio, invece, si potrebbe dire che siano stati proprio i social e la possibilità di pubblicare il loro gesto a spingere i ragazzi di Agnani a compiere la loro efferatezza. Io non credo che tutto dipenda dai social. La violenza è sempre esistita e anche mio padre spesso mi raccontava di come, da ragazzino, i suoi coetanei si divertissero ad attaccare dei petardi ai rospi per farli saltare in aria.
Qual è il punto allora? Probabilmente che i social network sono delle grandi casse di risonanza per la violenza in ogni sua declinazione. Non per loro natura, ma per l’effetto vorticoso della violenza stessa, che inghiotte quanto gli sta attorno alimentandola sempre più. Non è un caso i commenti della maggior parte dei post che hanno una maggior risonanza e un maggior engagement siano i più astiosi. E questa non è una questione di algoritmi. La domanda che bisognerebbe porsi, dunque, è da cosa derivi e come ridurre sempre più questa accentuata animosità. Censurarla sui social, per quanto possa esser utile a smorzare “l’effetto valanga”, sarebbe un po’ come nascondere la polvere sotto al tappeto.