di Alessia de Antoniis
“Una musica come questa vuole essere suonata da grandi interpreti. Ecco perché ho voluto con me questi grandi attori”. Così Valerio Binasco nelle note di regia, per presentare il cast che ha scelto per il suo nuovo viaggio nel testo di uno dei suoi autori preferiti: “La ragazza sul divano” di Jon Fosse, Nobel per la letteratura 2023. Prodotto dal Teatro Stabile di Torino e dal teatro Biondo di Palermo, La ragazza sul divano replica al Vascello di Roma fino a domenica 20 aprile, poi al Biondo di Palermo e al Mercadante di Napoli.
Una scenografia cinematografica (di Nicolas Bovey) per ambientare personaggi senza nome (madre/Isabella Ferrari, uomo/Valerio Binasco, zio/Michele Di Mauro, padre/Fabrizio Contri). Come La ragazza sul divano (Giordana Faggiano), che condivide la scena con la sua versione invecchiata (Pamela Villoresi); stessa persona, età diverse, pensieri opposti: “Sono brava a disegnare, forse potrei dipingere un quadro”, “Non ho mai dipinto un bel quadro in tutta la mia vita”. Nel mezzo quel “niente” che campeggia scritto in nero su un quadro mai finito. Un niente che è una vita, fatta di incomprensioni (con la madre), di attese (di quel padre imbarcato di cui si hanno rare cartoline), di ferite mai rimarginate, illusioni, delusioni, sogni infranti e desideri mai confessati. Nel mezzo il tempo, che tutto questo contiene, e all’interno del quale i ricordi scorrono in un flusso di coscienza, raccontati da frasi spezzate, urla di dolore, sussurri.
Scenografia rigorosamente grigia, luci e personaggi sono organizzati da Binasco (anche regista) per raccontare l’assenza. Di chi non c’è e di coloro i quali vagano come monadi, abbandonati nei ricordi di una donna troppo rivolta al passato per aver mai potuto andare avanti. Personaggi lontani nel tempo, compresenti in scena, scollegati gli uni dagli altri, che trasudano solitudine, paura, ossessione. Che subiscono il trascorrere del tempo. Personaggi per i quali casa non è sinonimo di nido, ma di tomba.
Un testo dal ritmo lento, come i giorni di una vita. Frasi spezzate come i rapporti recisi; parole ripetute, come i pensieri ossessivi; silenzi. Urla improvvise che lacerano la platea, latrici del dolore dell’abbandono. Attori di rilievo per dare corpo e voce ai ricordi che assillano la mente di una donna di mezza età. Una pièce dove le figure maschili restano di contorno. Grigie come la scenografia. Essenziali come la scrittura del premio Nobel Jon Fosse.
Le note acute sono femminili. Una potente Pamela Villoresi: vecchia, sola, delusa, disillusa. All’opposto, lei da ragazza, Giordana Faggiano, alienata, evanescente, raggomitolata su se stessa in posizione fetale, in attesa di un padre perso. A tratti invisibile. Nel mezzo Isabella Ferrari: cinica e fragile, insoddisfatta, nevrotica. Brave, ma sole. Anche loro. Perché se questa operazione teatrale di Binasco ha un difetto, è nella non sincronicità tra testo e recitazione. Come se si fosse cercato di coniugare due mondi diversi: quello scandinavo del testo e quello mediterraneo della recitazione. Validi nei rispettivi ruoli anche Giulia Chiaramonte, fisica e brillante, e Michele Di Mauro.
Una figura suscita un sentimento di profonda pietas: Fabrizio Contri, quel padre assente che per un attimo torna. Lontano dai racconti della figlia, che lo volevano marinaio con una donna in ogni porto; dimesso; che sembra essere tornato a casa, come un novello Ulisse logorato dal lungo viaggiare, ma dove non viene accolto da nessuno. Muto, parla con lo sguardo, col corpo. Da vedere.