di Raffaella Gallucci
“Il tennis è una relazione” dice Tashi in riva al mare ai suoi due pretendenti, Patrick e Art, 13 anni prima del match della vita fra i due che concluderà il film. Tashi è una giovanissima tennista dal futuro brillante ma che non vuole solo questo dalla vita e l’attrae la formazione universitaria che solo la Stanford può darle. Perciò, pur di rimanere in quell’ambiente, preferisce accontentarsi di rivali tennistici di livello inferiore al suo.
Partita dopo partita, vittoria dopo vittoria, Tashi aumenta il suo ego e la sua sicurezza, dettagli che non sfuggono agli occhi dei liceali Patrick e Art che, insieme, avevano vinto il titolo di doppio junior per ragazzi all’US Open. Due giovani uniti da una grande amicizia ma diversi: Patrick ribelle, sicuro di sé e ottimo giocatore mentre Art è il solito bravo ragazzo dal viso dolce che nasconde insicurezze. Entrambi però hanno una cosa in comune: l’amore per Tashi.
Challengers, dunque, non è un film su una partita di tennis ma su un duello relazionale fra i due giovani alla conquista di Tashi che al contrario di come canta Renato Zero “il triangolo non lo avevo considerato”, lei lo aveva previsto e lo affronta con piacere. Tashi diventa così il premio della vita tanto ambito dai due ragazzi, ma anche la pallina da tennis che salta da una parte all’altra. Per lei la vita è una continua gara e vive intensamente l’adrenalina della competizione.
Il film di Luca Guadagnino utilizza il mondo del tennis solo per raccontarne un altro: il monde delle relazioni umane in tutta la loro crudezza. Non è la classica pellicola drammatica perché lui riesce a giocare con i vari generi ma con un obiettivo chiaro: far percepire l’ostilità. Riesce a farlo anche attraverso inquadrature ravvicinate di palline e di polpacci, di rapidi sguardi, di sudore che gronda, tutti espedienti riusciti per inchiodare lo spettatore all’interno delle forti emozioni.
Challengers è una pellicola colorata, frizzante, che scorre incollando lo spettatore alla sedia con la curiosità di sapere come tutto andrà a finire, quello che dovrebbe sempre fare un film. Dopo Bones and all, Guadagnino si cimenta con maggiore maturità in un tipo di racconto che è nelle sue corde, quello dei rapporti umani. Tensione, ostilità, amore sono ben amalgamate grazie a una sceneggiatura di Justin Kuritzkes che riesce a suggerire la frenetica regia.
Guadagnino porta sulla scena un trio esplosivo, da Zendaya (Tashi) con la sua eleganza e la sua potente recitazione, passando a Josh O’ Connor (Patrick), che dopo essersi cimentato nella Chimera di Alice Rohrwacher, dimostra essere un attore interessante, finendo con Mike Faist (Art), che dopo aver debuttato in West Side Story di Steven Spielberg, compete senza sfigurare con i colleghi.
Una pellicola che merita di essere vista.