Papa Francesco: la letteratura come strumento di crescita personale e spirituale

Papa Francesco valorizza la letteratura come mezzo di crescita personale, citando Il libro come accesso al mondo di Stefan Zweig come esempio illuminante.

Papa Francesco: la letteratura come strumento di crescita personale e spirituale
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13 Agosto 2024 - 10.18


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di Antonio Salvati

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Papa Francesco non smette di stupirci. In maniera decisamente inconsueta per un Papa ha scritto una Lettera sul «valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale», pubblicata il 4 agosto.https://www.vatican.va/content/francesco/it/letters/2024/documents/20240717-lettera-ruolo-letteratura-formazione.html Senza esitazione Papa Francesco attribuisce alla pagina letteraria la possibilità concreta di sviluppare uno spazio interiore di libertà che ci aiuta a sottrarci alle «poche idee ossessive che ci intrappolano in maniera inesorabile». Già nel Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2020 il Papa sostenne che l’uomo è l’essere tessuto di storie: «L’uomo non è solo l’unico essere che ha bisogno di abiti per coprire la propria vulnerabilità (cfr. Gen 3,21), ma è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di ‘rivestirsi’ di storie per custodire la propria vita. Non tessiamo solo abiti, ma anche racconti». Basandosi sulle parole del Salmo 139, «mi hai tessuto nel seno di mia madre», il Papa aggiunge che questa tessitura si prolunga nel corso della vita: «Non siamo nati compiuti, ma abbiamo bisogno di essere costantemente ‘tessuti’ e ‘ricamati’». Lo siamo grazie alle storie che ci attraversano e che ritessiamo incessantemente, «quando tessiamo di misericordia le trame dei nostri giorni». Quando questa tessitura si fa attraverso le storie della Bibbia e del Vangelo, il divino s’intesse con l’umano: «Dio si è personalmente intessuto nella nostra umanità, dandoci così un nuovo modo di tessere le nostre storie». Per Papa Francesco la metafora della tessitura è preziosa perché ci conduce al senso biblico della parola.

Papa Francesco confida che aveva in mente una lettera sulla formazione sacerdotale, ma poi ha ritenuto «che, analogamente, queste cose si possono dire circa la formazione di tutti gli agenti pastorali, come pure di qualsiasi cristiano. Mi riferisco al valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale».

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La letteratura ha – per Papa Francesco – a che fare, in un modo o nell’altro, «con ciò che ciascuno di noi desidera dalla vita, poiché entra in un rapporto intimo con la nostra esistenza concreta, con le sue tensioni essenziali, con i suoi desideri e i suoi significati». In questo senso fa proprie le parole del teologo René Latourelle: «La letteratura […] scaturisce dalla persona in ciò che questa ha di più irriducibile, nel suo mistero […]. È la vita che prende coscienza di sé stessa quando raggiunge la pienezza di espressione, facendo appello a tutte le risorse del linguaggio».

Pochi giorni fa Andrea Riccardi, storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, già ministro e oggi presidente della Società “Dante Alighieri”, ragionando su come «la fede pensata» può interagire con la cultura contemporanea, affinché il cattolicesimo non resti «rannicchiato negli angoli della vita della città», rievocava la preziosa intuizione di Giovanni Paolo II che diceva: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». Papa Francesco rincara la dose. Per un credente che «vuole sinceramente entrare in dialogo con la cultura del suo tempo, o semplicemente con la vita delle persone concrete», la letteratura diventa indispensabile. Non a caso, il Concilio Vaticano II sostiene che «la letteratura e le arti […] cercano di esprimere l’indole propria dell’uomo» e «di illustrare le sue miserie e le sue gioie, i suoi bisogni e le sue capacità».  La letteratura prende, in verità, spunto dalla quotidianità della vita, dalle sue passioni e dalle sue vicende reali come «l’azione, il lavoro, l’amore, la morte e tutte le povere cose che riempiono la vita». In questo senso, per Francesco siamo di fronte ad uno snodo centrale per la vita di ciascun cristiano. Come possiamo raggiungere il centro delle antiche e nuove culture se «ignoriamo, scartiamo e/o mettiamo a tacere i loro simboli, i messaggi, le creazioni e le narrazioni con cui hanno catturato e voluto svelare ed evocare le loro imprese e gli ideali più belli, così come le loro violenze, paure e passioni più profonde? Come possiamo parlare al cuore degli uomini se ignoriamo, releghiamo o non valorizziamo “quelle parole” con cui hanno voluto manifestare e, perché no, rivelare il dramma del loro vivere e del loro sentire attraverso romanzi e poesie?». Con il«discernimento evangelico della cultura», è possibile individuare«la presenza dello Spirito nella variegata realtà umana, è possibile, cioè, cogliere il seme già piantato della presenza dello Spirito negli avvenimenti, nelle sensibilità, nei desideri, nelle tensioni profonde dei cuori e dei contesti sociali, culturali e spirituali». Chiaro e assai impegnativo.

Un grande pensatore eclettico come Stefan Zweig – che amo molto – definiva la cultura come il vero antidoto alla barbarie. Zweig, austriaco, è stato tante cose: drammaturgo, giornalista, biografo, storico e poeta. Nel suo saggio, significativo fin dal titolo, Il libro come accesso al mondo, scriveva: «Il libro ha il potere di dilatare l’anima e costruire mondi nella nostra vita interiore». Si tratta di «apprezzare il miracolo che si rinnova ogni volta che ne apriamo uno». Infatti, nella violenza, limitatezza o fragilità altrui, abbiamo la possibilità di riflettere meglio sulla nostra. Nell’aprire al lettore – spiega Francesco – «un’ampia visione della ricchezza e della miseria dell’esperienza umana, la letteratura educa il suo sguardo alla lentezza della comprensione, all’umiltà della non semplificazione, alla mansuetudine del non pretendere di controllare il reale e la condizione umana attraverso il giudizio». Vi è certo bisogno del giudizio, ma non si deve mai dimenticare la sua portata limitata: «mai, infatti, il giudizio deve tradursi in sentenza di morte, in cancellazione, in soppressione dell’umanità a vantaggio di un’arida totalizzazione della legge».

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Amos Oz, il grande romanziere israeliano morto a Tel Aviv negli ultimi giorni del 2018, in un suo celebre romanzo autobiografico raccontava che la madre sosteneva, con immagini suggestive, che «i libri erano capaci di cambiare, con gli anni, proprio come cambiano le persone, ma con la differenza che le persone, quasi tutte, prima o poi finisce che ti abbandonano, quando arriva il giorno in cui non ricavano da te più nessun profitto o piacere o interesse o quanto meno un buon sentimento, mentre i libri, loro non ti abbandonano mai (…) Senza sussiego, senza inventarsi delle scuse, senza domandare a sé stesso se gli conviene e lo meriti e se gli vai ancora bene, viene a te non appena lo chiami. Non ti tradisce mai».

Un’altra immagine per dire il ruolo della letteratura il Papa la ricava dalla fisiologia dell’apparato digestivo. O meglio dalla ruminatio della mucca, come affermavano il monaco dell’XI secolo Guillaume de Saint-Thierry e il gesuita del XVII secolo Jean-Joseph Surin. Quest’ultimo parla di “stomaco dell’anima” ed il gesuita Michel De Certeau ha indicato una vera e propria “fisiologia della lettura digestiva”.  Ecco: la letteratura – direbbe Antonio Spadaro – ci aiuta a dire la nostra presenza nel mondo, a “digerirla” e assimilarla, cogliendo ciò che va oltre la superficie del vissuto; serve, dunque, a interpretare la vita, discernendone i significati e le tensioni fondamentali. Sono considerazioni che rinviano anche all’importanza della storia. Torna alla mente la citazione di Umberto Eco, che scrive al nipote, spingendolo verso lo studio della storia: ≪ti sentirai come se avessi vissuto molte vite≫. La storia infatti porta il peso delle eredita di lungo periodo che la segnano in modo spesso sotterraneo ma profondo. La storia aiuta a vivere nel presente e ad essere consapevoli di esso, senza voltarsi indietro o avere nostalgia del passato, magari idealizzandolo. Una storia che va studiata e analizzata sotto i suoi profili diversi. La storia che scorre è qualcosa di molto diverso da un presente piatto, ridotto a sè, senza profondità… Certo, la storia non è magistra vitae: non insegna come vivere, ma certamente aiuta a leggere il presente e a discernerlo nella sua complessità. È difficile e illusorio – ne è convinto Riccardi -vivere da analfabeti della vita e della storia, soprattutto in tempi difficili come i nostri. Un vescovo siciliano, Cataldo Naro, uno storico degli inizi del xx secolo, ha espresso lucidamente questa intuizione: la storia e maestra «non nel senso che ci dà delle precise indicazioni per il nostro presente, ma perchè ci rende sapienti per sempre».

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