Spores Project: la sporizzazione di Federica Altieri al ReF

Spores Project di Federica Altieri: Innovazione Performativa e Tecnologia Immersiva all’8 e 9 ottobre 2024 al Romaeuropa Festival

Spores - Romaeuropa Festival ph FlaviaMastrella - intervista a Federica Altieri di Alessia de Antoniis
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6 Ottobre 2024 - 10.58


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di Alessia de Antoniis

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Spores Project di Federica Altieri approda a Roma l’8 e 9 ottobre 2024 alla Pelanda, nell’ex Mattatoio, nell’ambito del Romaeuropa Festival. Due serate che chiuderanno un percorso biennale europeo, dove la “sporizzazione” sfida i confini dell’arte performativa tradizionale con nuove tecnologie immersive. Al progetto partecipano nomi della scena artistica come Flavia Mastrella, Maria Letizia Gorga, Antonio Rezza, Eugenio Barba, Julia Varley, Paola Favoino, LOTTA e il collettivo ACRE – Ermanno Baron, Gino Maria Boschi, Marco Bonini.

Per comprendere il concetto di “sporizzazione”, l’approccio sperimentale ispirato alla fisica quantistica e il linguaggio artistico che sfida le strutture tradizionali di Spores, ne parliamo con la sua ideatrice e regista Federica Altieri

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“Non mi definisco regista, ma coordinatrice anarchica – specifica Federica Altieri –  perché non ho niente a che vedere né con il concetto di regia né con il concetto di direzione. Propongo argomenti che voglio trattare e convoco gli artisti, ma poi loro hanno la piena libertà di esprimersi, di cercare la loro via: per questo è anarchico. Ma poi, nel rispetto del principio di casualità, tutte le strade si ricompongono per creare Spores.

Si crea armonia?

La mia non è una ricerca di armonia, è un lavoro che si basa sulla casualità. Non sempre siamo armonici. Mettere insieme 30 artisti in un momento storico del genere, non genera sempre una sperimentazione tranquilla e armonica, tutt’altro; ci sono continui scontri, perché noi siamo di fronte a un individualismo sfrenato; siamo in un momento in cui ognuno vuole prevalere sull’altro a causa di un senso di insicurezza ancestrale che non gli permette di vivere relazionandosi al tutto in modo naturale: non siamo più abituati a farlo.

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È stato complicatissimo, ci sono stati scontri, ci sono dissonanze; anzi, diciamo che Spores è basato in qualche modo sulla dissonanza. Il concetto di anarchia a cui vorrei arrivare è ancora molto lontano, perché siamo prigionieri di un concetto di anarchia dove ognuno fa come gli pare. Non è così: quello a cui vorrei arrivare è invece un sistema di relazioni che naturalmente si incontrano oppure no. Perché anche non incontrarsi fa parte del percorso. Anche la dissonanza è crescita e la differenza diventa fondamentale. Ma in quella differenza, in quella dissonanza, si manifesta il concetto di casualità.

Armonia in greco vuol dire semplicemente connettere, collegare. Il mondo occidentale ha scollegato uomo e natura con filosofi come Platone, Cartesio e  Kant…

Hai citato degli autori che fanno parte di questa ricerca, che rappresentano dei passaggi profondi e importanti del nostro pensiero, che però nel tempo vanno rielaborati. La nostra compagnia si chiama Appercezioni e partiamo proprio dalle appercezioni kantiane, perciò è da lì che il viaggio inizia. Poi è importante come sviluppiamo quelle idee nei nostri tempi, le nostre ricerche appunto, perché la ricerca fatta in quei periodi, oggi prende un altro senso.

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Spores è un progetto intermediale che esplora il rapporto tra arte, tecnologia e sostenibilità. Qual è stata la genesi del progetto e come si è evoluto durante le varie tappe europee?

Quando abbiamo iniziato a lavorare su Spores, l’obiettivo era di costruire qualcosa che andasse oltre lo spettacolo tradizionale. Volevamo realizzare un’esperienza immersiva, un progetto che mettesse in discussione le modalità di interazione tra arte, pubblico e tecnologia. Ci siamo ispirati alla meccanica quantistica, e in particolare agli studi di Carlo Rovelli e Heisenberg, per esplorare concetti complessi legati alla percezione della realtà e al modo in cui costruiamo la nostra visione del mondo. Sembra che partiamo da concetti complessi, ma in realtà sono questioni che viviamo ogni giorno. La ricerca si è concentrata su come comunicare con il pubblico in un mondo invaso da immagini e informazioni continue, e abbiamo cercato di decodificare questo bombardamento.

Qual è il punto di forza del vostro progetto?

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Il progetto ha ricevuto il sostegno di Europa Creativa, nonostante inizialmente non fossimo riusciti a definire con precisione cosa intendessimo realizzare. Questo è stato in parte il punto di forza del progetto: volevamo mantenere un margine di sperimentazione aperta, lasciando che evolvesse organicamente. Durante le tappe europee, in cui lo abbiamo presentato in vari contesti, il progetto ha subito molte trasformazioni. Abbiamo capito che la sperimentazione continua era necessaria per tenere il passo con i cambiamenti che si verificavano sia nel contesto tecnologico che sociale. Abbiamo scelto di non proporre una narrazione lineare o rigida, ma un’esperienza che si adattava al luogo e al momento.

La fragilità del nostro momento storico, sia a livello ambientale che socio-politico, è stata un tema centrale per noi. È un momento di passaggio dall’analogico al digitale, che porta con sé un cambiamento antropologico profondo. Abbiamo cercato di rappresentare questa transizione attraverso un linguaggio che mescolasse arte, scienza e tecnologia, creando una nuova metodologia artistica.

Mi ha colpito l’analogia tra il concetto di sporizzazione e l’anarchia come espressione di uguaglianza. Come si collegano questi due elementi?

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L’analogia che facciamo con la sporizzazione è legata al concetto di crescita organica e di dispersione. Le spore si diffondono in maniera anarchica, ma al tempo stesso seguono una logica naturale di equilibrio e adattamento all’ambiente. Nel nostro progetto, vediamo l’anarchia come un’espressione di uguaglianza, un modo per restituire alle persone la possibilità di svilupparsi senza essere costrette da sistemi rigidi o gerarchici.

Volevamo esplorare questa idea di anarchia creativa, in cui ogni artista e ogni partecipante potesse esprimere la propria unicità, ma all’interno di una struttura che favorisse l’incontro e la relazione. Tuttavia, come accade in natura, non tutte le spore riescono a crescere nello stesso modo o a prosperare nello stesso ambiente. Questo porta inevitabilmente a conflitti, ma è proprio nella dissonanza che vediamo il potenziale di crescita. La casualità e la frizione sono elementi necessari per far emergere nuove idee e nuove forme di relazione.

È anche il concetto di Eugenio Barba, che fa parte di Spores, di arte come rivoluzione, come messa in discussione, come ricerca continua.

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Come Spores affronta il tema della sostenibilità?

La sostenibilità è un tema centrale, ma non volevamo affrontarlo in maniera didattica o noiosa. Ho avuto un’esperienza significativa con una giovane che aveva una grande passione per la sostenibilità, ma durante la sua presentazione, il pubblico era visibilmente distratto. Questo mi ha fatto capire che, per trattare temi così urgenti e complessi, è necessario trovare un modo per farli risuonare emotivamente con il pubblico, senza però risultare pesanti.

La nostra sfida è stata quella di comunicare la gravità della crisi ambientale con leggerezza, seguendo le indicazioni di Italo Calvino sulla “leggerezza” come valore. Insieme alla musicista e attivista LOTTA – lei si definisce Artivista –  abbiamo lavorato molto per trovare un linguaggio che parlasse soprattutto ai giovani, coinvolgendoli in maniera attiva senza far perdere di vista l’urgenza della situazione.

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Spores

Romaeuropa Festival

8 e 9 ottobre 2024 ore 21

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Ex Mattatoio di Testaccio – Piazza Orazio Giustiniani 4, Roma

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