"Tutto chiede salvezza", la serie di Netflix che fa riflettere e commuovere

Se la prima aveva lasciato il segno e mi aveva fatto scoprire un mondo sconosciuto, o forse un mondo a cui non avevo mai dato la giusta attenzione. La seconda, mi ha rapito e commosso.

"Tutto chiede salvezza", la serie di Netflix che fa riflettere e commuovere
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Tiziana Buccico Modifica articolo

8 Ottobre 2024 - 20.34


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“Tutto chiede salvezza”, una serie la cui seconda stagione è da poco in programmazione su Netflix. Se la prima aveva lasciato il segno e mi aveva fatto scoprire un mondo sconosciuto, o forse un mondo a cui non avevo mai dato la giusta attenzione. La seconda, mi ha rapito e commosso, e mi ha reso consapevole di un tema, la salute mentale, a volte scomodo, distante ma neanche troppo, un mondo che ci sfiora di frequente a cui non dedichiamo la giusta importanza. 

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Cinque settimane per cinque episodi e poi un capitolo dedicato a tre anni dopo per raccontare il futuro dei protagonisti, questa la scansione temporale della serie. Un tempo sufficiente per farsi prendere dalla storia e per non lasciare lo schermo, per sorridere e piangere, per capire cosa è davvero la salute mentale e quanto labili sono i suoi confini. Tratto dal romanzo di Daniele Mencarelli, già vincitore del Premio Strega Giovani edizione 2020, con la regia magistrale di Francesco Bruni; ambientato tra Roma ed Anzio, la struttura ospedaliera è quella della Clinica Lungodegenza militare di Anzio a due passi dal mare. Una sceneggiatura asciutta, lineare, in cui spesso gli sguardi e i silenzi diventano monologhi e dialoghi. Chiede allo spettatore di essere seguita con estrema cura, senza perdersi nulla dalle inquadrature ai volti, dai movimenti al paesaggio, un modo di raccontare che cattura e richiede la partecipazione di chi vede ed ascolta. Il tema è un tema che tocca molti, chi in maniera grave, chi in maniera accennata, e potrebbe toccare a tutti noi, che dietro tante finte sicurezze ed incertezze non siamo immuni da debolezze, cattivi pensieri, momenti di sconforto e mancanza di equilibrio. Quante volte giudichiamo senza cercare di comprendere il disagio e la necessita di chiedere “salvezza”.

Daniele il protagonista, è un bravissimo Federico Cesari, un’interpretazione che rende la storia reale. Nella prima stagione è un ragazzo sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio in seguito ad un crollo psicotico. Nella stanza dove vivrà incontrerà degli straordinari compagni con cui insieme riuscirà a ricomporre il puzzle per raggiungere la salvezza. Daniele trova conforto e sfogo nella poesia, ne scrive di belle, le scrive per chi ama, sono spesso la sua migliore medicina. Nella camera dove trascorrerà la degenza, troverà molte risponde e si porrà tante domande, si creerà una nuova famiglia: Madonnina, Gianluca, Alessandro e Mario, interpretato da un intenso Andrea Pennacchi, e poi la donna che sarà la madre di sua figlia Maria, Nina una giovanissima attrice che per compiacere la madre, toccherà l’orlo di un tunnel fatto di sofferenza e di insicurezza. Daniele sembra essere guarito, ma la domanda è si guarisce o si convive? 

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Il suo medico è stato anche lui ricoverato e si è salvato rimanendo a curare chi ha avuto la sua stessa sorte. Nella seconda stagione, Daniele, ritorna nel reparto come infermiere, studia, è diventato padre e continua a scrivere poesie, la sua è una sfida ciclopica, una prova di coraggio che sembra insormontabile.  Sarà complicato il suo tirocinio e pieno di ostacoli e incidenti di percorso, il protagonista e la sua ex compagna ripetono una frase che mi è rimasta impressa: “io cerco di fare le cose bene ma poi.” È così la salvezza è dietro l’angolo ma se sbagli strada tutto può succedere, le buone intenzioni e i buoni propositi possono svanire per piccole cose, per banali cambiamenti ed allora la catena degli eventi non si ferma e non si arresta il turbine della paura. 

Ma questa nuova stagione ci regala nuovi personaggi e l’applauso più forte, più sentito va a Gianluca Gori, in arte Drusilla Foer, che non interpreta, non recita, è Matilde. C’è anche commozione nello scrivere del personaggio di Matilde, un gigante di bravura e di verità. La sua intensità, la sua femminilità, il suo volto sono la prova che i nomi, le categorie ed i generi sono nulla. L’umanità che si legge nei suoi tratti maschili e nel suo fascino femminile sono poesia, tragedia e commedia. Matilde, un po’ Giovanni un po’ Drusilla, soffre da tanti anni, è una vecchia conoscenza per i medici, ma questa volta incrocia Daniele, e con lui sarà prima la guerra e poi l’affetto incondizionato. Drusilla Foer che siamo abituati a vedere perfetta, diva, inarrivabile sul palco, mostra il suo volto, invecchiato, struccato, sofferente, i suoi capelli ed i suoi abiti non sono quelli della femme fatale dei suoi spettacoli. Nella scena in cui confessa il perché del suo odio per Daniele, racconta uno dei traumi più profondi della sua vita, un momento incredibile, un’interpretazione che leva il respiro, che ho amato tanto da vederla più volte. E poi una scena incredibile, in cui, Matilde, per cercare di apparire più ordinata e più curata accetta di farsi fare la barba da Daniele, poche parole, ma una intimità tra i due che supera i sentimenti e le emozioni e chi in coro cerca “salvezza”.

La voce di Matilde è una melodia intima, la sua regalità nel muoversi è innata e la sua sofferenza sembra essere vera, sentita e interiorizzata. Non vi racconto la trama come fanno in molti, non apprezzo spoilerare, ma vi pregherei di dedicare un po’ del vostro prezioso tempo a questa serie che può renderci migliori. Tutti chiediamo salvezza e tutti ne abbiamo diritto, senza giudicare e senza voltarsi dall’altro lato. E se è ancora un tabù avere disturbi o problemi mentali, buttiamo giù il muro dei finti imbarazzi e della negazione dei problemi. Tutti abbiamo bisogno di ascolto, di aiuto, di sostegno, tutti siamo un po’ folli e originali, tutti potremmo piombare in un abisso e chiedere e soprattutto meritare la salvezza, e per questo abbiamo bisogno di credere nell’amicizia, nella speranza, negli altri,nel futuro

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“I pazzi osano dove gli angeli temono d’andare”. (Alexander Pope)

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