I teatranti, come è noto, sono spesso superstiziosi, e dato che la Prima della stagione del Teato alla Scala stasera aprirà proprio con la ventiquattresima opera di Verdi, che pare porti sfortuna, è molto probabile che qualcuno, per l’occasione, tenga addosso qualche amuleto portafortuna e faccia gli scongiuri.
“La forza del destino”, infatti, non è mai nominata nei teatri, e gli addetti ai lavori per indicarla usano la perifrasi “potenza del fato”. Semplice superstizione? Tant’è, ma l’esecuzione dell’opera, a dispetto del suo successo, storicamente è associata ad alcuni eventi avversi, fin dal suo debutto in Russia nel novembre 1861, che saltò per la malattia di una cantante. Ecco alcuni esempi.
Eduardo Rescigno nel suo Dizionario verdiano narra due fatti. Il primo, che durante la prima scena dell’Atto III il testo originale della prima edizione dell’opera metteva in bocca ad Alvaro la frase “Fallì l’impresa”. Dato che il fallimento di un’impresa teatrale era una sventura frequente nel mondo del teatro nell’Ottocento, e nessun cantante o impresario voleva nemmeno sentir pronunciare una frase del genere, nella edizione successiva dell’opera, essa fu sostituita con “Fu vana impresa”.
In secondo luogo, Rescigno riporta che il librettista Francesco Maria Piave finì la sua vita con una serie di sventure: nel 1866 si ammalò gravemente, il fratello fu imprigionato a Venezia per alto tradimento e la madre impazzì. L’anno successivo, caduto in miseria, egli fu costretto a chiedere un prestito a Verdi, e il 5 dicembre di quell’anno rimase paralizzato fino alla morte.
Alberto Mattioli, invece, in un suo pezzo intitolato proprio “La potenza del fato”, riporta altri fatti legati all’opera di Verdi, come che ci fosse La forza del destino in cartellone al teatro Wielki di Varsavia il 1º settembre 1939, giorno in cui la Germania nazista invase la Polonia dando inizio alla Seconda guerra mondiale. Oppure che il 4 marzo 1960, durante la messa in scena dell’opera al Metropolitan di New York, il baritono Leonard Warren ebbe un malore appena dopo l’aria Urna fatale del mio destino e morì per un’emorragia cerebrale.
Mattioli cita anche innumerevoli incidenti di palcoscenico, tra forfait, cadute degli attori e terribili stecche, liti fra impresari e consigli d’amministrazione. Per non parlare della prima scossa del violento terremoto in Giappone dell’11 marzo 2011, mentre l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino stava conducendo una prova d’insieme dell’opera a Tokio.
L’opera in quattro atti di Verdi è tratta da Alvaro o la forza del destino dello spagnolo Ángel de Saavedra, noto anche come Duca di Rivas. La prima rappresentazione assoluta, nella prima versione, ebbe luogo al teatro Imperiale di San Pietroburgo il 10 novembre 1862, mentre il debutto italiano, con il titolo Don Alvaro, avvenne al teatro Apollo di Roma il 7 febbraio 1863. La seconda versione, per la quale Verdi aggiunse la celebre sinfonia, compose un nuovo finale e operò numerose altre modifiche, debuttò con successo alla Scala di Milano il 27 febbraio 1869. Nel nuovo finale, Don Alvaro sopravvive alla morte di Leonora, laddove nella prima si suicidava. L’opera ha avuto anche una trasposizione cinematografica con il film diretto nel 1950 da Carmine Gallone.