Libri e non solo, il Mi-To della lettura
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Riflessioni sul Salone di Torino mentre mentre la concorrenza sleale di Amazon fa saltare le piccole librerie indipendenti

Il logo di Torino disegnato da Gipi
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Vincenzo Vita Modifica articolo

17 Maggio 2018 - 09.48


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Si è chiuso domenica scorsa con ottimi risultati il Salone del Libro di Torino. L’appuntamento piemontese è una scadenza prestigiosa, malgrado le polemiche e i problemi di gestione che l’hanno  attraversata. Ottimo il lavoro, e non era facile, del presidente Massimo Bray e del direttore Nicola Lagioia. Ma come è noto, a Milano si è tenuta nel marzo scorso la seconda edizione di “Tempo di libri” organizzata dall’Associazione italiana editori (Aie) insieme alla Fiera di Milano. Due iniziative vicine nel tempo e in concorrenza –almeno un anno fa- esplicita, persino esibita.

La domanda legittima, che meriterebbe una risposta non banale, è perché vi debba essere in Italia (caso pressoché unico) una così secca contesa, a fronte di un settore esiguo e surclassato purtroppo nella dieta mediale dal cannibalismo televisivo e, al momento, non aiutato –come potrebbe- dalla rete. Un fatturato di quasi tre miliardi di euro fa, però, da contrappunto ad un paese che legge un libro all’anno per il 40% e che ha un analfabetismo di ritorno prepotente. E, comunque, le risorse che ruotano attorno al libro sono sì e no un terzo di quelle attratte dal video. In tale condizione di difficoltà, costellata di continue chiusure di librerie e di biblioteche, un “duopolio” conflittuale non è molto comprensibile. Se è ingenuo immaginare di unificare i due eventi, è credibile uno sforzo per rendere complementari e integrate le manifestazioni. Del resto, il raccordo tra Milano e Torino è un desiderio antico: “MiTo”. Se la crisi del fordismo industriale travolse quel sogno, la pratica culturale potrebbe ravvivarlo. Qualche parola al riguardo fu spesa dal presidente dell’Aie Riccardo Franco Levi, primo firmatario della legge del 2011 tesa giustamente a limitare l’abuso degli sconti sul prezzo di copertina utili solo alla grande distribuzione. L’Aie pensò di staccarsi dal Salone sabaudo, forse frettolosamente, senza impedire la scissione di numerosi editori raggruppati ora nella nuova sigla Adei (Associazione editori indipendenti). Le realtà indipendenti sono riferimenti fondamentali con titoli spesso eccellenti, destinati altrimenti a rimanere nei cassetti o nei computer. Ne è prova la felice rassegna milanese “Book Pride” (a Milano c’è pure l’importante “Book City”) e ne è testimonianza il crescente interesse verso la Fiera dei piccoli editori, da anni stabile appuntamento romano ricco di presenze e di novità: peraltro promossa proprio dall’Aie.

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C’è materia, dunque, per disegnare un palinsesto capace di valorizzare, coordinandole, le esperienze e le diversità. Insomma, con una regia unitaria.

Tutto questo acquista oggi un valore particolare. Il pluralismo è travolto dalla lotta per la conquista del mercato ingaggiata da Amazon e consimili, in grado di disintermediare il rapporto con i fruitori, sulla base di una concorrenza sleale che sta mettendo in ginocchio gli esercenti medi e piccoli, nonché il comparto indipendente restio ad arrendersi agli oligarchi digitali.

Servirebbe un fronte comune, alleato con la parte migliore della rete: una catena contraria all’”editore unico” e all’omologazione. Il futuro che si sta appalesando prevede una nicchia potente di best seller cui va la cura del marketing e della comunicazione, circondato da una realtà disgregata e pulviscolare densa di contenuti ma non di lettori.

I mediologi chiamano il fenomeno cultural devide, ma la terminologia appropriata sarebbe meno elegante. E in tale contesto –inquietante- Milano e Torino sono solo una debole punta dell’universo.

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