Ritratto degli eroi nel tempo del Coronavirus: il Servizio Sanitario Nazionale

Giungerà il tempo della riflessione, quando dovremo trarre degli insegnamenti da questo disastro: il vituperato sistema pubblico sta gestendo la tremenda emergenza sta salvando vite umane.

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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

26 Marzo 2020 - 18.59


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“L’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto ma non sconfitto”. Questa frase compare nel celebre romanzo di Ernest Hemingway Il vecchio e il mare, dove si narra la vicenda di un vecchio pescatore, eroica figura d’invitto.
La tenacia e lo spirito combattivo del vecchio Santiago sono un monito per noi, per quel che stiamo vivendo, e trovarsi davanti a uomini e donne reali, in carne e ossa, che quotidianamente incarnano il personaggio hemingwayano, è emozionante: è il caso dei tanti medici, infermieri, operatori sanitari e volontari che sono in prima linea nella micidiale lotta al Coronavirus.
Per il momento possiamo fare poco altro: curare, contenere, evitare il contagio. Ma giungerà il tempo della riflessione, il tempo in cui dovremo trarre degli insegnamenti da questo disastro. E poiché l’ambito sociale ed umano più sotto pressione per questi traumatici eventi è quello sanitario, è da lì che dovrà partire l’analisi.
E il primo, oggettivo dato è il seguente: oltre alle donne e agli uomini impegnati nella guerra al virus, c’è un altro, autentico eroe, grazie al quale quelle persone vivono ed operano: il Servizio Sanitario Nazionale. La sua è una storia lunga e affascinante, che risale ai tempi dell’unità dello stato italiano, una vicenda di civiltà che andrebbe insegnata a tutti i cittadini, sin dalle scuole, che qui ripercorriamo in brevi cenni.
Nel 1861 la vita media degli italiani era di ben 17 anni inferiore rispetto a quella d’un cittadino svedese. Nel 1863, su 1000 bambini nati vivi 232 morivano durante il primo anno di vita. Per cercare di arginare quell’autentica carneficina e di coordinare gli interventi, nel 1865 la tutela della salute è affidata al Ministero dell’Interno. La legge Pagliarini-Crispi del 1888 trasforma l’approccio di polizia sanitaria in sanità pubblica, creando un primo assetto organizzativo: è un passo importante nell’evoluzione del concetto di sanità collettiva gestita dallo stato. Nel 1907 si scrive il primo Testo unico delle leggi sanitarie, poi aggiornato nel 1934. Nel 1945, in un Paese devastato dalla malaria e dalla distruzione bellica, viene istituito l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ma è soltanto nel 1948, con l’articolo 32 della Costituzione, che la salute diventa un diritto fondamentale. Vale la pena di citarlo, almeno in parte, poiché è un enorme balzo in avanti in termini di civiltà: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Questo articolo della nostra straordinaria Carta costituzionale oggi lo diamo per scontato. Ma è una norma rivoluzionaria, che sancisce un diritto individuale inviolabile e assoluto e un bene di rilevanza pubblica. L’Italia è stata la prima nazione in Europa a riconoscere il diritto alla salute nella sua Costituzione.
Continuiamo la nostra cavalcata. La legge 296 del 13 marzo 1958 istituisce il Ministero della Sanità, che assorbe tutte le competenze in fatto di sanità pubblica. Sul territorio vengono istituiti gli uffici del medico e del veterinario provinciale, coordinati dal prefetto; gli uffici sanitari dei comuni e dei consorzi; gli uffici sanitari speciali (porti, aeroporti, di confine). La Legge Mariotti del 1968 istituisce e organizza gli Enti Ospedalieri, costituisce il Fondo nazionale ospedaliero e introduce la programmazione ospedaliera attribuendone la competenza alle regioni.
È la premessa della svolta, che avviene dieci anni dopo, con la legge 833 del 1978 che sancisce la nascita del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn, descritto come il “complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione”. Leggerne i principi ispiratori, maturati e distillati in anni in cui quello pubblico era percepito come il bene sommo di una collettività, e lontano era il tempo dell’individualismo e della privatizzazione selvaggia dei beni e delle risorse dello stato, suscita ancor oggi una grande emozione.
Negli anni Novanta avviene il riordino del Ssn, anche a fronte di un’impennata delle spese, dovute soprattutto al malaffare diffuso e alla pessima gestione della cosa pubblica, tara inalienabile di questo Paese: i decreti del 1992-93 e del 1999 (riforma Bindi) rafforzano il potere delle Regioni e introducono l’aziendalizzazione delle Usl, ribattezzate Asl e provviste di autonomia organizzativa. La legge 3 del 2001 accentua la decentralizzazione della sanità pubblica, ridisegnando le competenze di Stato e Regioni in materia sanitaria, e con la legge 317 dello stesso anno vede la nascita il Ministero della Salute.
Questi passaggi fondamentali non sono mera materia di un articolo o oggetto di studi giuridici: sono esperienza vivente di tutti noi. Se non esistesse il Servizio Sanitario Nazionale saremmo tutti nudi e oltremodo indifesi di fronte alla terribile minaccia posta dal nuovo virus che impazza per il mondo, e ancor più lo sarebbero le classi più deboli, i bisognosi e gli emarginati che non hanno i soldi e le risorse per farsi curare nelle cliniche private.
Classi che sono state duramente colpite dal taglio selvaggio dei posti letto, dalla chiusura di ospedali, ambulatori, consultori, dall’introduzione di ticket, dalla diminuzione dei fondi destinati alla ricerca: drastiche, miopi, criminali misure adottate per contenere la spesa pubblica (misure peraltro inutili, poiché hanno clamorosamente fallito nel loro scopo), e che guarda caso vanno incontro agli enormi interessi dei grandi attori privati, che nella sanità hanno una ricchissima torta da spartirsi.
Tutti i governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio hanno contribuito a sgretolare il Servizio Sanitario Nazionale. Più delle parole, parlano i dati: un taglio di 37 miliardi di euro, chiusi oltre 200 ospedali, una perdita di 34.000 posti letto. Numeri che sono ben più alti se si allarga la fascia temporale, visto che le politiche dei tagli risale ad almeno 25 anni fa: da allora i posti letto perduti sono oltre 70.000. Il tutto avvenuto nel silenzio generale, nell’accettazione beota di un popolo narcotizzato da una micidiale indifferenza.
Adesso ci ritroviamo con un virus in espansione che ci sta decimando, siamo confinati in casa e possiamo solo aspettare che la situazione migliori. Ed ecco che riscopriamo l’importanza di avere ospedali funzionanti, numeri di posti letto e sale di rianimazione adeguati, mascherine e materiali sanitari salvavita per tutti. Di fronte alla tragedia, ci rendiamo conto delle politiche dissennate messe in atto dagli squallidi figuri che abbiamo mandato al potere, burattini nelle mani del grande capitale finanziario che ha fagocitato la politica e le sue funzioni. Scelte scellerate messe in atto, è bene ripeterlo, col silenzioso consenso d’una popolazione incapace persino di difendere i propri interessi. Una popolazione che dovrebbe prendere a calci nel sedere (e soprattutto non votare) personaggi quali il leghista Giancarlo Giorgetti, che di recente si chiedeva: “Chi va più dal medico di base?”
Io ci vado, Giorgetti, e mi sciroppo ore di fila, perché come me ci vanno milioni di italiani, perché il medico di base è il primo, fondamentale bastione a tutela della salute pubblica. E già che ci siamo, notiamo pure che la tanto sbandierata regionalizzazione della gestione sanitaria proposta dal suo partito è stata annichilita dalla tremenda realtà della pandemia che ha colto il mondo intero. Per gestirla servono politiche di intervento unitarie, centralizzate: transnazionali, altro che regionali!
Questo è il tempo in cui i fatti surclassano le opinioni: il tanto vituperato sistema di sanità pubblica sta gestendo e contenendo la tremenda emergenza che viviamo, sta salvando vite umane. Senza il Servizio Sanitario Nazionale, senza le donne e uomini che vi prestano eroicamente la loro opera, i tremendi numeri dei decessi che rendono un incubo questi giorni sarebbero tragicamente ben maggiori. Senza il Servizio Sanitario Nazionale saremmo ancor più nudi e disarmati di fronte all’assalto di questo mortale virus. Oggi il Covid-19, e domani?

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