Il decreto per consentire alle imprese italiane di accedere al credito bancario per ripristinare la propria liquidità è stato pubblicato oggi dopo essere stato preannunciato da circa dieci giorni; ed era atteso in modo spasmodico da una vastissima platea di operatori economici.
Leggendo le premesse si comprende che il “decreto legge recante disposizioni urgenti per il sostegno della liquidità alle imprese e dell’esportazione” tradisce un fondamentale obiettivo strategico. Infatti in esse si dice: “Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica covid -19 sta producendo sul tessuto economico nazionale…”.
La finalità di un provvedimento che mette in campo un potenziale di liquidità per le imprese di 400 miliardi non può essere quella minimalista di contenere gli effetti negativi di una crisi sanitaria ma deve essere quella, molto più ambiziosa, di puntare a sostenere l’intero sistema produttivo del paese nel suo complesso per riuscire, insieme ad altre misure di contrasto alla situazione di emergenza, di salvaguardarlo integralmente.
Nella situazione di estrema difficoltà che stiamo attraversando, è dal raggiungimento di questo obiettivo che dipende tutto o gran parte del benessere futuro della nostra nazione e la capacità dello stato di continuare ad assolvere alle sue basilari funzioni sociali; per questo puntare le armi a disposizione nella direzione giusta, rappresenta una precondizione determinante per conseguire il risultato atteso.
Il 23.3 abbiamo pubblicato su questo giornale un articolo (“In economia la vera guerra comincerà con la fine della pandemia: prepariamoci”) in cui abbiamo detto che la prima misura che il governo avrebbe dovuto adottare per iniziare a fronteggiare efficacemente gli effetti economici nefasti della crisi epidemiologica, consisteva in una robusta immissione di liquidità da realizzare attraverso le banche, in favore di tutti coloro che svolgono una attività economica e che si trovavano in uno stato di palese difficoltà, per mezzo di una garanzia statale, commisurata alla perdita di fatturato di tre mesi. Ed abbiamo provato ad indicare tutti gli accorgimenti che andavano adottati per rendere il sostegno dello stato davvero, agile, efficiente ed efficace.
Ora abbiamo avuto modo finalmente di leggere il decreto del governo.
Esso, per la parte afferente le misure di accesso al credito “al fine di assicurare la necessaria liquidità alle imprese” (art.1 e art.14), contiene alcuni punti qualificanti, molto positivi, anche da noi indicati il 23.3:
una garanzia dello stato rilasciata tramite Sace per finanziamenti pari al 25% del fatturato o al doppio del costo del personale, finalizzata ad assicurare l’afflusso di liquidità alle medie e alle grandi imprese, ed una rilasciata tramite il Fondo Centrale di Garanzia per imprese con un numero di dipendenti fino a 499 unità;
la possibilità di escussione della garanzia a prima richiesta;
la previsione di un periodo di preammortamento di 24 mesi;
un costo contenuto per i prestiti concessi in applicazione del decreto;
la previsione di impegni atti a salvaguardare i livelli occupazionali;
la sospensione degli articoli del codice civile sugli obblighi di ricapitalizzazione delle imprese.
Tuttavia, nonostante questi aspetti indubbiamente apprezzabili, il decreto ne contiene altri che lo depotenziano rispetto agli obiettivi che lo stesso decreto si pone e/o a cui dovrebbe tendere.
In generale l’aspetto che lo depotenzia maggiormente è la limitazione della garanzia pubblica, relativa agli interventi superiori ai 25000 euro al di sotto del valore del 100% dei finanziamenti e la sua graduazione dal 70 al 90%, in funzione della dimensione delle aziende; una condizione che obbliga le banche ad effettuare una attenta valutazione del merito di credito del cliente ed a ponderare altrettanto attentamente la concessione dei finanziamenti.
Si dirà che questa è una prassi normale anche per i prestiti assistiti da garanzie pubbliche parziali, tuttavia nello speciale ed unico contesto di emergenza che stiamo vivendo, rappresenta una scelta subottimale per le seguenti ragioni:
gli addetti ai lavori sanno che valutare il merito di credito di lungo termine delle imprese da finanziare, costituisce in questa fase un esercizio molto complesso perché mai nella storia post bellica si è determinato un blocco totale delle attività economiche ad ampio spettro per motivi sanitari; pertanto, stabilire le conseguenze che si registreranno sui bilanci aziendali e stimare le prospettive di ripresa delle aziende rappresenta, al momento, una valutazione previsionale non ordinaria;
le banche quindi, per effetto della impostazione del decreto, al fine di assumere la loro quota di rischio (fino al 30% del valore del fatturato di un trimestre, un importo che in valore assoluto può attestarsi anche su cifre considerevoli) e di ottenere l’abilitazione della garanzia pubblica, dovranno provare ovviamente a valutare attentamente il merito di credito di lungo periodo del cliente richiedente, tentando di delineare le sue concrete prospettive; e tale processo deliberativo sarà verificato dalla Sace che potrà solo in seguito emettere un codice identificativo che abiliterà l’efficacia della garanzia e quindi del finanziamento (art 1 punto 6);
nella situazione molto anomala che si è venuta a creare, si è rotto il trend di sviluppo in molti settori economici e non è agevole prevedere nel breve termine come esso si ridefinirà; la valutazione del merito di credito non potrà tener conto pertanto, come avviene normalmente, dei risultati dell’ ultimo bilancio, anzi questi, per molte imprese, perderanno quasi totalmente di validità; per contro si dovranno necessariamente valutare gli impatti negativi della crisi in atto sul bilancio corrente (2020) e le effettive capacità di recupero nel tempo; un esercizio, che data la unicità del contesto che stiamo sperimentando ed il quadro di incertezza altissimo che si sta manifestando a livello nazionale ed internazionale, richiederà una istruttoria complessa ed inevitabilmente, in non pochi casi, i criteri di valutazione saranno prudenziali;
ne deriveranno, tempi non brevi per la definizione delle pratiche, anche a causa della rilevantissima concentrazione di richieste da cui le aziende di credito saranno sommerse;
il decreto prevede tra l’altro, come è giusto che sia, che le banche, oltre alla concessione delle nuove linee di credito con garanzia pubblica, confermino tutte le linnee di credito preesistenti, per evitare fenomeni di semplice sostituzione dei rischi (art.1 punto 2 m);
per cui le banche, operando in una situazione di incertezza totale mai vissuta in precedenza in quanto:
a) non si potranno conoscere quanto saranno effettivamente profonde le perdite che le imprese subiranno nel 2020;
b) non si conosce quando l’impresa potrà riavviare effettivamente i motori, quanto durerà la fase transitoria di convivenza con il virus e quando si ritornerà con certezza ad uno stato di piena normalità;
c)non si conosce di quale entità sarà il rimbalzo delle economie con il ritorno alla normalità (le analisi dei previsori indicano scenari tra loro molto diversi) e quanto tempo impiegheranno quindi le imprese per recuperare i livelli di fatturato preesistenti;
dovranno, secondo le finalità del decreto, confermare, ad una platea vastissima di clienti ed in un tempo molto ristretto, tutte le linee di credito preesistenti e oltre a queste aggiungere nuove assunzioni di rischio di lungo termine.
Chi conosce l’operatività delle relazioni finanziarie banca-impresa e le problematiche gestionali dell’industria creditizia può quindi agevolmente immaginare che non sarà semplice fare in modo che il provvedimento possa esprimere veramente “una potenza di fuoco senza precedenti nella storia” così come auspicato dagli esponenti di governo, e quindi un concreto e valido aiuto, idoneo a fronteggiare efficacemente le difficoltà del momento, soprattutto per le imprese che ne risulteranno più duramente colpite.
E sarebbe molto negativo per tutto il sistema se nel momento di maggiore necessità, moltissime imprese restassero prive di risorse liquide, determinando una crescita esponenziale di default aziendali con ripercussioni anche nel mondo del lavoro devastanti.
Ciò considerato, per rendere il decreto più funzionale agli obiettivi strategici che si pone o che si dovrebbe porre, risulta fondamentale, in primo luogo che la garanzia pubblica venga estesa, nei termini previsti, al 100% dei nuovi finanziamenti concessi per tutte le categorie di aziende, in modo tale da abilitare una concessione dei nuovi finanziamenti unicamente o prevalentemente sulla base del merito di credito delle imprese sussistente al momento dell’inizio della crisi sanitaria; nel presupposto che le misure complessive di sostegno all’ economia da parte dello stato saranno orientate a recuperare, nei tempi più rapidi possibili, i livelli di sviluppo in essere prima dell’ inizio della crisi epidemiologica; ed in secondo luogo che vengano snellite drasticamente le procedure per rendere fruibili le garanzie pubbliche.
Solo in questo modo si potranno superare molte delle difficoltà precedentemente elencate; una implementazione che peraltro non dovrebbe comportare impegni incrementali da parte dello stato di particolare rilievo e che non dovrebbe trovare neanche particolari ostacoli in sede europea vista l’apertura data a sospendere la validità delle norme in tema di aiuti di Stato.
Su queste osservazioni, oltre alle ragioni tecnico-operative esposte, si aggiungono considerazioni di carattere strategico quali:
- la situazione macroeconomica creatasi è molto peculiare; ad un improvviso e violentissimo momento di rottura, a cui seguirà un profondo arretramento economico in tutti i paesi del mondo nel 2020, ormai certo, tutti i previsori istituzionali fanno corrispondere un rimbalzo altrettanto repentino e consistente nel 2021, solo probabile; e la ripresa si andrebbe a consolidare negli anni successivi; alti elementi di incertezza negativa e altrettanti di incertezza positiva si alterneranno e si contrapporranno, secondo le previsioni degli esperti, in uno spazio di tempo limitato, come mai avvenuto in passato;
- di fronte a questa forte rottura degli equilibri che ne conseguirà, è indispensabile che i policy makers acquisiscano fino in fondo la consapevolezza che si è aperta una fase estremamente delicata in cui è in gioco tutto il benessere economico-sociale conquistato negli ultimi decenni, e dalla crisi usciranno vincenti solo quei paesi che avranno saputo costruire tempestivamente un solido ponte per poter andare oltre il baratro apertosi nel 2020, per poter riapprodare sulla sponda della normalità che inizierà nel 2021( in corrispondenza della somministrazione di un vaccino) con il sistema economico e finanziario ancora pienamente funzionante;
- L’ unico soggetto che può assumersi l’onere di guidare sapientemente la costruzione di questo ponte nei tempi utili è lo stato, perché è l’unico soggetto che ha la forza di farlo; e quando si costruiscono i ponti in tempo di guerra (e non solo), non bisogna risparmiare né sulla qualità del materiale di base, né sulle risorse necessarie per agire con la massima celerità;
- è compito dello stato quello di creare le infrastrutture che servono a tutto il sistema economico- sociale per preservare il suo futuro, ed in questo momento una delle infrastrutture più necessarie per vincere la guerra è la creazione immediata di una nuova fonte di approvvigionamento della liquidità per le imprese e le attività economiche in genere; la liquidità oggi non serve, come avviene normalmente, a finanziare nuovi investimenti o a coprire sfasature temporali tra incassi e pagamenti ma a tenere in vita le imprese che hanno visto, come mai accaduto nella loro storia, interrompersi improvvisamente completamente il proprio ciclo economico e finanziario; di conseguenza il fattore tempo è il fattore determinante per la loro sopravvivenza;
- In altri termini, in tale contesto l’evoluzione del futuro economico e finanziario di tutte le imprese, finanziarie e non finanziarie, dipenderà dalla capacità dello stato di riuscire a mettere in campo, di concerto con le istituzioni europee, tutte le azioni necessarie a creare le condizioni per risollevare nel più breve tempo possibile le sorti della nostra economia; indirizzando nel contempo tutti gli operatori economici ad assumere idonei comportamenti anticiclici ( vedi art. del 4.4 su questo giornale);
- le banche, chiamate giustamente a dare un contributo anticiclico poderoso e cruciale, con fondi propri; anche finanziando le imprese con una garanzia pubblica pari al 100%, data l’ ampiezza dei valori da mettere in campo, non opereranno senza rischio, come superficialmente si è portati a credere, ma anzi assumeranno rischi consistenti (fino a 400 miliardi dice il decreto, una cifra enorme sia in termini assoluti che relativi ) verso uno stato già molto indebitato e che è destinato per evidenti ragioni a peggiorare notevolmente, nell’immediato, il proprio profilo di rischio; soprattutto se non sarà capace di salvaguardare le proprie fonti di entrata non riuscendo a salvare nel suo insieme tutto il sistema produttivo.
Ci sono poi altri aspetti poco convincenti nel decreto, e quelli più evidenti sono i seguenti.
Perchè è stata prevista una durata massima di rimborso dei finanziamenti di 6 anni per tutte le imprese, indipendentemente dal grado di difficoltà che incontreranno per uscire dalla crisi?
La durata del periodo di rimborso dovrebbe dipendere dalla effettiva capacità di generare cash flow; si verificheranno situazioni molto asimmetriche, ci saranno imprese che si riprenderanno rapidamente e potranno rimborsare in tempi rapidi i loro finanziamenti e ci saranno altre che non avranno una capacità di generare flussi di cassa sufficienti a ripagare le proprie rate entro i 6 anni; pertanto, anche al fine di evitare inutili e controproducenti default che comporteranno la escussione della garanzia pubblica, sarebbe stato più opportuno lasciare alle banche la possibilità di modulare i tempi di rimborso, lasciandole operare in un range di durate di rimborso da un minimo ad un massimo di anni ( per esempio da 4 a 10 anni) per consentire alle aziende con maggiori difficoltà di godere di un maggior livello di agibilità e di mantenere nel contempo la duration media degli impegni dello stato su un numero di anni accettabile.
Perché è stato previsto un livello di garanzie (200 miliardi) a fronte di sostegni destinati ad aziende esportatrici pari allo stesso livello delle altre tipologie di intervento, visto che l’export nel nostro paese vale circa ¼ del pil nazionale? Non sarebbe stato più opportuno fare una ripartizione più equilibrata al fine di consentire di ampliare la potenza di fuoco reale del provvedimento, visto che per il settore specifico dell’export, soprattutto in questa fase, il valore posto in campo appare abbastanza sovrappesato?
Perché è stata concessa la facoltà di accesso ai finanziamenti con garanzia pubblica a tutte le imprese indipendentemente dalle loro effettive difficoltà? Ci potranno essere grandi e medie aziende che pur essendo capaci di affrontare le difficoltà attuali con mezzi propri, ricorreranno, per motivi di opportunità, ai finanziamenti previsti dal decreto ed essendo per definizione più affidabili troveranno canali privilegiati presso il sistema bancario; non sarebbe stato quindi più efficiente, nell’interesse della collettività e quindi dello stesso stato, privilegiare le aziende che sono state più duramente colpite dalla crisi in atto, senza sprecare munizioni? Visto che questa situazione peraltro non è ascrivibile ad una loro capacità di fare impresa?
Chissà se qualcuno che ha potere decisionale leggerà e saprà offrire (se lo meritano) un po’ di ascolto a queste considerazioni? Senza peraltro trascurare che il provvedimento qui in discussione è comunque di per sé insufficiente a fronteggiare in modo organico la situazione complessiva (vedi articolo del 4.4 “In economia la guerra si vince con le nostre forze: 15 misure da mettere in campo).
Il dubbio, purtroppo, viste le premesse, è altamente legittimo.
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