“Ho parlato del 25 aprile e ora voglio parlare del Primo Maggio: due feste strettamente collegate fra di loro, non soltanto per motivi di calendario ma anche perché ci ricordano due conquiste: la prima, la conquista della libertà per tutti i cittadini e la seconda la conquista della dignità e dei diritti per i lavoratori. Non a caso l’articolo 1 delle nostra Costituzione, nata dalla Resistenza, dice che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Così ho iniziato un mio articolo sul Primo Maggio scritto negli anni passati per Globalist. Ha senso questo incipit oggi, in un momento in cui i lavoratori, la maggior parte dei lavoratori, non possono esercitare il diritto al lavoro per via della quarantena e, tantomeno, scendere in piazza per andare a celebrare la festa dei lavoratori?
Sarà un Primo Maggio tristissimo pieno di incertezze per il futuro, soprattutto di incertezze sul lavoro. Quanti italiani si diranno, ritroverò il mio lavoro, la mia azienda mi richiamerà? Quanti negozianti e artigiani si domanderanno: potrò riaprire la mia attività, riuscirò a onorare i debiti che questi mesi di inattività, dove non ho incassato un euro, correvano egualmente. Quanti piccoli e medi imprenditori si domanderanno: la banca mi aprirà la linea di credito agevolato, promesso dal governo, o mi sommergerà di domande e di pratiche che rimandano alle calende greche? Quanti lavoratori dello spettacolo, su cui il governo non ha mai speso una parola, si domanderanno: quando riapriranno i cinema, i teatri, i concerti, gli stadi? Per non parlare delle partite Iva che ancora non hanno ricevuto (e sono tanti, checché ne dica l’Inps) i 600 miseri euro promessi. Ci metto anche gli studenti, i lavoratori di domani, che non dispongono di un computer, e sono migliaia, a cui è stato negato l’esercizio del diritto allo studio garantito dalla Costituzione, anche quello impartito a distanza.
Chissà come tutti questi italiani avranno animo di festeggiare il Primo Maggio! E non ci sarà neppure il tradizionale concertone a San Giovanni, ma ci dovremo accontentare delle solite esibizioni on line, a cui ci stiamo abituando.
A questo punto la mia esperienza di vecchio giornalista mi imporrebbe di parlare del significato del Primo Maggio, della sua storia, dei sacrifici che fecero i nostri Padri per imporlo. Dovrei parlare della Costituzione, dello Statuto dei lavoratori e dovrei dire che dietro questi diritti conquistati c’è tanto sudore, ci sono tante fatiche, ci sono tante lotte e persino tanto sangue.
Soprattutto ora che diventa sempre più struggente il ricordo di quando bambino andavo accompagnato da mio Padre al comizio oceanico di Di Vittorio, che precedeva sempre il gusto inconfondibile delle fave accompagnate con il pecorino romano. O delle vigilie passate a Castiglioni in Val d’Orcia, quando si veniva svegliati nel cuore della notte dal canto dei maggiaioli, che portavano a tutti la lieta novella: maggio è ritornato, la natura, dopo il duro inverno, è risorta e promette ricchi raccolti. Sembrava una metafora dell’Italia di cui tutti aspettavamo trepidanti la resurrezione portata dal più radioso Primo Maggio.
Il comizio non c’è più, Di Vittorio, il sindacalista che fece soltanto la terza elementare perché, ancora bambino, fu votato al duro lavoro dei campi, è soltanto un ricordo, e a Castiglioni i maggiaioli rimarranno chiusi nelle loro case. A noi rimarranno soltanto le fave con il pecorino, sperando che il mercato non ne sia sprovvisto.