Tra le tante conseguenze della pandemia alcune non sono così sgradevoli.
Assunti da grandi aziende del Nord, da inizio pandemia lavorano in smart working al Sud. Sono 45mila, secondo un’indagine sul “southworking” realizzata da Datamining per la Svimez su 150 imprese con oltre 250 addetti, attive nelle diverse aree del Centronord nei settori del manifatturiero e dei servizi. Secondo il rapporto, questo numero potrebbe essere solo la punta di un iceberg: si stima che il fenomeno potrebbe essere ben più esteso.
Stima: in smart working al Sud 100mila persone – La cifra di 45mila persone al lavoro per il Centronord da aree al Sud è equivalente a 100 treni Alta Velocità. Ma, si legge nella ricerca, “se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti), molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100mila lavoratori meridionali”. Lo studio ricorda che attualmente sono circa due milioni i meridionali che lavorano al Centronord.
Dall’indagine emerge inoltre che, considerando le aziende che hanno utilizzato lo smart working nei primi tre trimestri del 2020, o totalmente o per l’80% degli addetti, “circa il 3% ha visto i suoi dipendenti lavorare in southworking”.
Un’opportunità per riportare al Sud capitale umano – Secondo il rapporto, poter offrire ai lavoratori meridionali occupati al Centronord la possibilità di lavorare dalla loro terra di origine potrebbe costituire un inedito e opportuno strumento per la riattivazione di quei processi di accumulazione di capitale umano da troppi anni bloccati per il Mezzogiorno e per le aree periferiche del Paese.
Il rapporto propone l’identificazione di un target dei potenziali beneficiari di misure per il southworking. Occorre concentrare gli interventi sull’obiettivo di riportare al Sud giovani laureati (25-34enni) meridionali occupati al Centronord. Utilizzando i dati Istat sulla forza lavoro e quelli relativi all’indagine sull’inserimento professionale dei laureati italiani, si è stimato che la platea di giovani potenzialmente interessati sarebbe di circa 60mila laureati. Secondo i dati raccolti, l’85,3% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud se fosse possibile, mantenendo il lavoro da remoto.
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