La pandemia comportato grossi problemi in tutti gli ambiti produttivi, costringendo i governi di tutti gli stati europei a optare per lo smart working, una modalità di lavoro che, tra resistenze e problemi legati all’inadeguatezza tecnologica di determinate aree, non è mai stata usata in maniera concreta. Si calcola che quasi la metà della forza lavoro europea abbia lavorato da casa durante questo anno di emergenza sanitaria, una bella differenza rispetto al 10% riferito al periodo antecedente all’arrivo del Covid nel vecchio continente. E bisogna considerare che quella percentuale era spinta verso l’alto dai paesi nordici, storicamente più organizzati e al passo con le nuove tecnologie, ma soprattutto più inclini a venire incontro alle esigenze di flessibilità dei lavoratori. Questo fa capire quanto il telelavoro sia un fenomeno del tutto nuovo in paesi come l’Italia, ancora troppo legato ai vecchi schemi del mondo produttivo che richiede la presenza del lavoratore e un controllo della produttività effettuato in presenza.
Ma i dati hanno dimostrato che questa diffidenza è infondata e che una volta che il lavoratore ha trovato un suo equilibrio ed è messo nelle condizioni di lavorare da casa in sicurezza, in termini di connessione e protezione dati con degli strumenti tecnologici adeguati, riuscirà a portare a termine le proprie mansioni più velocemente, con un risparmio di tempo e di denaro, e un impatto minore a livello ambientale e sul traffico cittadino.
Le percentuali nei paesi europei
Il numero di persone che durante quest’anno di pandemia hanno lavorato da casa varia molto da nazione a nazione e in alcuni casi sono stati registrati degli aumenti in termini percentuali davvero notevoli e in parte inaspettati. Il Belgio è sicuramente il paese in cui c’è stato l’impiego più massiccio del lavoro in remoto, con una percentuale che supera abbondantemente il 50%. Subito dietro troviamo però paesi come la Francia, l’Irlanda, la Spagna, ma soprattutto l’Italia, con livelli ovunque sopra il 40%. Il Covid non ha fatto sconti in qualsiasi zona europea, ma è innegabile che ci sono stati che sono stati colpiti, per tutta una serie di motivi, più pesantemente di altri. Non è casuale quindi che le nazioni che si sono trovate più in difficoltà, con l’adozione di periodi di lockdown particolarmente lunghi, si siano quasi trovate costrette a rivolgersi al telelavoro per evitare lo stallo in determinati settori produttivi o a maggior ragione della macchina burocratica e della pubblica amministrazione.
A seguire troviamo il Portogallo e la Danimarca con numeri leggermente inferiori al 40%.
Stranamente sotto la media europea la Germania ma anche la Finlandia, mentre in nazioni come la Grecia, la Polonia, la Bulgaria, l’Ungheria e in generale i paesi baltici, soltanto meno di un quinto dei lavoratori ha operato da casa.
Tipologie di lavori svolti da casa
Interessanti anche i dati relativi alla tipologia di mansioni svolte da casa e del tipo di qualifica dei lavoratori impegnati in remoto. Oltre il 74% degli smart workers è in possesso di un titolo di studio elevato e una preparazione professionale avanzata. Il settore dei servizi è sicuramente quello che ha registrato un numero maggiore di lavoratori in remoto, mentre in altri, meno colpiti dalle restrizioni, si è continuato a lavorare seguendo i soliti schemi produttivi.
Per il 46% del totale dei lavoratori impiegati da casa si è trattata della prima volta con questo tipo di modalità, mentre il resto aveva già avuto esperienze pregresse.
Prospettive future
I dati relativi alle opinioni dei lavoratori su questa nuova modalità di lavoro, fanno intendere che in futuro, anche al termine della pandemia, si sentirà parlare molto più spesso di telelavoro. La stragrande maggioranza, circa il 78%, degli intervistati, ha espresso l’auspicio di continuare a lavorare da casa, anche solo per alcuni giorni durante la settimana lavorativa, anche quando non sarà più strettamente necessario. Gli esperti dicono che le percentuali relative ai lavoratori in smart working tenderanno a calare drasticamente rispetto alla situazione attuale – nonostante i vantaggi siano superiori agli aspetti negativi – risultando però maggiori rispetto alla situazioni pre-pandemia. Questo a causa soprattutto di una mancanza di regolamentazione che stabilisca analiticamente le modalità d’impiego e di valutazione del lavoro svolto da casa.
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