Dalla crisi alla catastrofe. Un rischio che si sta facendo realtà. A darne conto è Oxfam
Un mix devastante
263 milioni di persone in più potrebbero ritrovarsi in condizione di povertà estrema quest’anno, per l’effetto combinato della crisi Covid, di una ripresa non inclusiva e dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari, causato dal conflitto in Ucraina. Complessivamente ben 860 milioni di persone si ritroverebbero costrette a sopravvivere con meno di 1,90 dollari al giorno e 827 milioni soffrirebbero la fame.
È l’allarme lanciato da Oxfam con il rapporto “Dalla crisi alla catastrofe” pubblicato oggi, alla vigilia degli Spring Meetings della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, in programma a Washington dal 18 al 24 aprile.
“La Banca Mondiale ha stimato che 198 milioni di persone potrebbero scivolare sotto la soglia di povertà estrema nel 2022, per l’impatto della pandemia e di una crescita non inclusiva caratterizzata dall’aumento delle disuguaglianze di reddito all’interno dei Paesi. Le prospettive potrebbero però essere più cupe. – spiega Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia sulla sicurezza alimentare – Stimiamo che l’aumento globale dei prezzi dei generi alimentari da solo spingerà altri 65 milioni di persone verso la povertà estrema entro l’anno. Il totale dei nuovi poveri, 263 milioni di individui, è superiore alla popolazione di Regno Unito, Italia, Germania e Spagna messi insieme e il balzo rappresenta un’inversione di tendenza nelle statistiche sulla povertà globale senza precedenti storici”.
Le aree del mondo più colpite dall’aumento della fame globale
Mentre sempre più persone si troveranno nei prossimi mesi a dover scegliere tra mangiare, riscaldarsi o far fronte alle spese mediche, la prima emergenza resta l’aumento della fame globale, con milioni di persone che si troveranno colpiti da malnutrizione acuta. In questo momento ampie fasce della popolazione in Africa orientale, nel Sahel, in Yemen e Siria si trovano già sull’orlo della carestia.
Il costo del debito dei Paesi più poveri equivale al costo delle importazioni di cibo
A questo si aggiunge l’insostenibilità del livello di indebitamento in molti Paesi vulnerabili che si vedranno costretti a tagliare la spesa pubblica per ripagare i creditori e per le importazioni di cibo ed energia. Basti pensare che i paesi più poveri del mondo saranno chiamati a ripagare 43 miliardi di dollari in oneri per il servizio del debito nel 2022. Una cifra che da sola coprirebbe i costi delle loro importazioni alimentari. I prezzi dei beni alimentari a livello mondiale hanno infatti raggiunto a marzo, secondo la FAO, il massimo storico da quando l’indice è stato istituito nel 1990. Nel frattempo i grandi produttori di petrolio e gas stanno registrando profitti record, con tendenze simili previste anche per il settore alimentare e delle bevande.
Il peso dell’aumento della spesa alimentare per le famiglie
A pagare il prezzo di questa drammatica situazione è la parte più povera della popolazione mondiale, I riflessi dell’aumento dell’inflazione sono trasversali e incidono sulla capacità di spesa ovunque ma in proporzioni diverse. Basti considerare che l’aumento dei prezzi dei generi alimentari incide per il 17% sulla spesa delle famiglie nelle economie avanzate, ma arriva al 40% nei paesi dell’Africa sub-sahariana.
Per la maggior parte dei lavoratori in tutto il mondo, nel frattempo, i salari reali continuano a ristagnare o addirittura a scendere, mentre a livello occupazionale le più colpite restano le donne per l’impatto della pandemia: nel 2021 le donne occupate erano 13 milioni in meno rispetto al 2019, mentre l’occupazione maschile aveva recuperato i livelli del 2019.
“Sebbene la crisi stia impattando in tutte le nazioni, ancora una volta sono i Paesi in via di sviluppo a pagare il conto più salato. – aggiunge Petrelli – Dopo più di 2 anni di pandemia in cui hanno tra l’altro scontato la mancanza di un accesso equo ai vaccini Covid, si trovano ora a far i conti con nuove misure di austerità”.
Dalla denuncia alla proposta
Oxfam chiede ai governi un’azione urgente per combattere le crescenti disuguaglianze, che minacciano di minare i progressi compiuti nella lotta alla povertà nell’ultimo quarto di secolo. In particolare:
- cancellare tutti i pagamenti per il servizio del debito per i Paesi in via di sviluppo nell’anno in corso. Un passo che renderebbe disponibili più di 30 miliardi di dollari solo nel 2022 per 33 paesi in difficoltà e già fortemente indebitati;
- aiutare milioni di persone ad affrontare l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e supportare la creazione di un Fondo Globale sulla Protezione Sociale, che sostenga misure di supporto al reddito e l’erogazione dei servizi essenziali nei paesi più poveri;
- stanziare risorse aggiuntive per l’accoglienza dei rifugiati ucraini senza erodere i budget dell’aiuto pubblico allo sviluppo;
- tassare gli extra-profitti delle imprese che hanno beneficiato della crisi pandemica. Oxfam ha stimato che un simile prelievo sui profitti straordinari applicato a 32 grandi multinazionali avrebbe potuto generare 104 miliardi di dollari di extra-gettito già nel 2020;
- riallocare almeno 100 miliardi di dollari in diritti speciali di prelievo (DSP) a beneficio dei paesi più vulnerabili senza condizionalità, in modo concessionale e addizionale ad altri impegni finanziari già assunti.
Quelle spese che affossano lo stato sociale
Oxfam è parte di un mondo solidale sceso in campo contro l’aumento miliardario delle spese militari deciso dal governo italiano e votato a larghissima maggioranza dal Parlameno.
“Invece di chiedere – dopo il dramma della pandemia- di portare la spesa per la sanità pubblica all’8% o gli investimenti per l’istruzione al 7 % (siamo il fanalino di coda in Europa per la spesa in scuola e università) il parlamento chiede di aumentare del 30% le spese per le armi”, sottolinea Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci!.
Riteniamo questa, una scelta sbagliata e strumentale, demagogica e propagandistica, di fronte alla guerra drammatica in Ucraina.
Una scelta, tra l’altro, generica, in cui non si tiene conto delle implicazioni della destinazione della spesa e delle scelte in ambito europeo, che al momento non prevedono la costituzione di un esercito comune.
“In questi anni – continua Marcon- le spese militari sono aumentate significativamente in Italia quando nello stesso periodo le spese per la sanità, la scuola, il welfare sono rimaste le stesse e in alcuni casi sono diminuite.
Nel 2021 le spese militari nel mondo sono aumentate di 50 miliardi di dollari (superando i 2000 miliardi di dollari), 10 volte di più di quanto si è stanziato per il Covax per assicurare gratuitamente i vaccini ai paesi poveri. Nel mondo non ci sono poche armi, ce ne sono troppe. La guerra in Ucraina e i rischi e le tensioni per il mondo, non si fermeranno aumentando le spese per le armi, ma con politiche di pace e di sicurezza comune e condivisa. Non bisogna fare gli stessi errori della guerra fredda e del riarmo nucleare degli anni ‘80.
“Per questo – ha concluso Marcon – chiediamo al governo e al parlamento di escludere dalle previsioni del prossimo Def un aumento delle spese militari: chiediamo invece politiche di prevenzione dei conflitti, di cooperazione e di rafforzamento di una sicurezza comune fondata sulle Nazioni Unite”.
Una richiesta caduta nel vuoto.
Cooperazione: parola chiave
“La Difesa è fondamentale e riguarda tutti i cittadini, come afferma la nostra Costituzione. Siamo però convinti che ogni significativo rafforzamento delle Difese nazionali, invece della costruzione di una Difesa comune europea, contribuirebbe al ritardo della costruzione di quel disegno politico federale europeo a cui gli Stati membri sono comunque destinati e di cui si sente sempre più il bisogno”. A scriverlo, in una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio Mario Draghi, alle Senatrici e ai Senatori, alle Deputati e ai Deputati, è stata l’Associazione delle Ong italiane (Aoi) e Link 2007, che raggruppa importanti e storiche Organizzazioni Non Governative italiane.
“Lei, presidente Draghi, con il sostegno della maggioranza della Camera, si è impegnato a portare il bilancio della Difesa al 2% del Rnl (reddito nazionale lordo ndr) rispetto all’attuale 1,22% con un’ulteriore spesa di ben € 16,5 miliardi. Si tratta di un impegno assunto con la Nato da attuare entro il 2024, è stata la giustificazione”, scrivono i due raggruppamenti nella lettera resa pubblica: “.Vogliamo ricordare a Lei e ai Membri del Parlamento un altro impegno altrettanto importante, assunto in sede nazionale, di Consiglio Europeo e di Nazioni Unite, da attuare entro il 2015 (Obiettivi del Millennio) ma scadenzato poi al 2030 (Agenda 2030): la spesa dello 0,70% del Rnl per l’assistenza e la cooperazione internazionale allo sviluppo”.
“Cooperazione” è la parola chiave. Proprio per promuovere i nostri interessi nel mondo essa va nobilitata e resa trasversale, a nostro avviso, ad ogni atto politico dell’Italia nei rapporti internazionali. Deve rimanere il cardine delle relazioni a livello economico, politico, culturale, ambientale, dei diritti, dello sviluppo, della lotta alla povertà, della sicurezza. Cooperazione significa anche pace”.
“Siamo inoltre convinti che la migliore difesa del nostro Paese, dell’Ue e dell’intera umanità possa essere ottenuta non con il continuo riarmo ma attraverso il progressivo disarmo negoziato e concordato, ridando ruolo alla Politica nelle relazioni internazionali senza illusorie scorciatoie militari e di potenza che, anche in questi ultimi decenni, hanno dimostrato i loro tanti limiti. Ciò vale – conclude la lettera – per l’Italia, l’Ue e la stessa Alleanza di difesa atlantica”.
Non c’è nulla di “ideologico” nelle considerazioni di Oxfam, di Aoi, di Link 2007, della campagna Sbilanciamoci!. C’è tutto il peso di un vissuto quotidiano nelle aree più esplosive e disagiate del mondo, dalla parte dei più indifesi, dei meno garantiti. E non c’è solo denuncia, peraltro sacrosanta, ma anche proposta. Idealità e concretezza.
Una visione molto più realistica di quella spacciata come tale dai riarmisti di casa nostra. Che hanno sfondato anche nel campo progressista. E questo è davvero triste. Perché è il segno di una subalternità, culturale prim’ancora che politica, ad un pensiero unico in mimetica. E la storia, non solo italiana, insegna che quando la sinistra gioca nel campo preferito della destra – sicurezza, esternalizzazione delle frontiere, riarmo etc. – la gente sceglie l’originale piuttosto che la fotocopia. E quando un ministro di un Partito progressista, ebbe a sostenere che “sicurezza e parola di sinistra”, sicurezza e non “legalità”, “inclusione”, il gioco è fatto. Un gioco a perdere. Che ha portato alla “guerra” alle Ong salvavita nel Mediterraneo, ai tagli ripetuti al budget per l’Aiuto pubblico allo sviluppo. E ora all’aumento senza precedenti delle spese militari.