Ma quanta acqua sprechiamo mangiando carne?

Per produrre un petto di pollo ci vogliono 1.170 litri d’acqua. 15.400 per un chilo di manzo. Se fossimo vegetariani potremmo permetterci il lusso di lasciare i rubinetti aperti.

Ma quanta acqua sprechiamo mangiando carne?
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27 Gennaio 2014 - 15.03


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di Stella Silvestri

Riuscite a immaginare tre mila vasche da bagno riempite d’acqua? Pensate che quella è l’acqua che mangiamo ogni giorno, ognuno di noi. Sì, perché per produrre i cibi che consumiamo sprechiamo enormi quantità di risorse idriche. Secondo la fondazione Water Footprint Network, per un pacco di pasta servono 780 litri d’acqua, per una braciola di maiale ne occorrono 1.440, per un petto di pollo 1.170. Riuscite a immaginare che in una fetta di formaggio è nascosta l’acqua necessaria a sfamare una persona per un giorno intero?

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Gli scienziati chiamano quest’acqua virtuale “acqua invisibile”. Il primo ad introdurre questo concetto è stato il professor John Anthony Allan, del King’s College di Londra e vincitore dello Stockholm Water Prize 2008. Allan nei suoi studi scoprì, ad esempio, che per una tazza di caffè sono necessari 140 litri di acqua utilizzati per la coltivazione e il trasporto del caffè. Da qui l’idea che l’importazione e l’esportazione di beni comportasse di fatto anche lo scambio di acqua necessaria per la loro produzione. Successivamente, Arjen Hoekstra, direttore del Water Footprint Network, ha introdotto il concetto di impronta idrica, con cui calcolare il contenuto d’acqua di un prodotto.

Come si vede da questo grafico, il consumo di acqua è massimo quando si consuma carne, mentre è minimo con la verdura.

Questo concetto ci aiuta a capire il rapporto tra il consumo di acqua e la produzione di cibo, legame che sfugge alla maggioranza delle persone. Grazie al lavoro di ricercatori e scienziati, oggi conosciamo l’acqua virtuale di migliaia di prodotti, e sappiamo, ad esempio, che ci vuole molta più acqua per produrre la carne che per produrre ortaggi e frutta. Attraverso le nostre abitudini alimentari, possiamo quindi contribuire a ridurre il consumo di risorse idriche. Ecco perché il professor Allan, ha esortato la gente di tutto il mondo a diventare vegetariana: «A causa di questo enorme spreco».

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Siamo abituati a pensare che l’acqua che usiamo è quella che ci scorre davanti agli occhi quando ci laviamo, innaffiamo il giardino, facciamo la lavatrice. Questo consumo, è solo la parte più piccola del totale, ci sono infatti due parti invisibili. Lo spiega Angela Morelli, ambasciatrice della ricerca sull’acqua virtuale e sull’impronta idrica sviluppata da Allan, che si è avvicinata a questo tema in occasione del suo lavoro di tesi per il master in Information Design alla Central St Martins di Londra.

«La prima è l’acqua che viene utilizzata per produrre i prodotti industriali che usiamo quotidianamente, come la carta, il cotone, i vestiti: 167 litri ogni giorno. La seconda parte invisibile è la vera sorpresa. Si tratta dell’acqua che viene utilizzata per produrre il cibo che mangiamo ogni giorno, e questo valore ammonta a 3.496 litri». Con il suo lavoro, Angela Morelli cerca di comunicare a un pubblico che di scienza dell’acqua non sa nulla, quello che gli scienziati studiano con dedizione: «È si importantissimo chiudere il rubinetto quando ci laviamo i denti, ma è ancora più importante cominciare a pensare all’acqua che si nasconde nel cibo, e che dipende da cosa mangiamo, da come lo produciamo e da quanto ne buttiamo via. Per produrre un chilo di carne di manzo servono 15.400 litri d’acqua, tante bottiglie messe in fila una sopra l’altra fino ad alzare un muro alto ventitré metri e largo quattordici», come la facciata di un palazzo di sette piani. Tutto nascosto in una bella bistecca.

La dieta mediterranea, secondo gli studi di questi scienziati, rappresenta un modello di consumo sostenibile poiché contiene la metà dell’acqua di un menù a base di carne. I litri risparmiati compiendo questa semplice scelta garantirebbero l’acqua necessaria a sfamare altre persone. «In economie come la nostra, ogni anno finisce nella spazzatura un terzo del cibo che compriamo e con esso tutte le risorse che sono state utilizzate per produrlo. Buttiamo più di un miliardo di tonnellate di alimenti che sarebbero sufficienti a nutrire quattro volte ben il 12 per cento della popolazione mondiale», aggiunge la Morelli. «Mentre l’acqua è una quantità finita la popolazione della terra cresce a un tasso sostenuto e siamo sempre più assetati. Il ritmo con cui utilizziamo le risorse idriche del pianeta è troppo più veloce rispetto a quello attraverso cui ci vengono restituite dalla natura.». Dalle ricerche condotte sull’impronta idrica degli alimenti, emerge che ogni volta che gettiamo nel cestino una fetta di pane sprechiamo quaranta litri d’acqua, con una mela se ne vanno via altri settanta e con un uovo, addirittura, centotrentacinque.

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La carne ha un costo di consumo di acqua molto elevato a causa della complessità e della lunghezza della sua produzione. Inoltre, una parte consistente del consumo di acqua viene dall’enorme quantità di coltivazioni adibite esclusivamente alla produzione di cibo per animali da fattoria.

E in Italia? Il nostro resta un paese dalle forti contraddizioni. Le risorse idriche italiane non hanno nulla da invidiare al resto d’Europa, ma non si può certo dire altrettanto dei nostri sistemi di gestione dell’acqua. Non a caso, deteniamo il primato europeo di consumatori d’acqua in bottiglia e siamo tra i maggiori nel mondo. Spesso sentiamo di Comuni che restano senza acqua per giorni e di ordinanze sulla potabilità che alla fine spingono le persone a consumare acqua in bottiglia perché non si fidano di quella che esce dai rubinetti.

Ma quanta acqua consumiamo? Secondo uno studio pubblicato nel 2010 dall’Università di Twente, in Olanda, «ogni italiano, usa circa 380 litri di acqua al giorno per lavarsi, cucinare, fare lavatrici e innaffiare il giardino. Se aggiungiamo l’impronta idrica del cibo che mangiamo e dei vestiti che indossiamo, il totale è di sessantaquattromila litri al giorno». Questo vuol dire che il consumo quotidiano di circa quindici famiglie italiane equivale all’acqua contenuta in una piscina olimpionica.

La disponibilità, il costo e la qualità dell’acqua cambiano considerevolmente di regione in regione. In generale, quelle del nord sono più ricche mentre al sud si fronteggia spesso il problema della carenza d’acqua, soprattutto d’estate. Ma la questione non è di carattere esclusivamente ambientale. In Italia, la cattiva gestione dell’acqua è un problema legato agli interessi politici ed economici che ruotano attorno al cosiddetto oro blu.

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Da noi l’acqua costa meno che negli altri Paesi europei, ma abbiamo una rete idrica che non funziona. Secondo l’Autorità per l’energia, il gas e il sistema idrico: «Un metro cubo di acqua nel nostro Paese ha un costo medio di poco più di un euro, un valore più alto solo della Romania e molto più contenuto rispetto ai quattro euro del Regno Unito. I livelli di perdite legate alle problematiche delle infrastrutture, sono invece tra i più elevati d’Europa: oltre il 30 per cento dell’acqua immessa in rete e non fatturata risulta disperso rispetto al 7 per cento della Germania».

Alcune regioni d’Italia razionano l’acqua per le famiglie, e a volte perfino per l’agricoltura. Un consumo minore di carne aumenterebbe notevolmente la quantità d’acqua disponibile per abitante.

A Sassari, ad esempio, la città lo scorso febbraio è rimasta per giorni senz’acqua a causa di una condotta rotta. Dice il sindaco Gianfranco Ganau: «È una vera indecenza. Ormai non passa settimana senza che a causa di interventi urgenti sulle condotte idriche non si interrompa il servizio idrico cittadino. Assistiamo da mesi a continui disservizi che limitano e condizionano fortemente la vita quotidiana dei cittadini che subiscono disagi, ormai non più tollerabili. Quanto ancora dovrà durare questa emergenza sociale?».

E le nostre bollette sono sempre più care, lo conferma l’ultima indagine nazionale sulle tariffe 2012 realizzata da Federconsumatori. «Noi la paghiamo l’acqua, la paghiamo per non averla! Siamo nel terzo mondo. Durante il periodo estivo, i turni di distribuzione arrivano a superare le due settimane», spiega in un’intervista a un quotidiano locale la proprietaria di un b&b ad Agrigento, tristemente nota per essere la città senz’acqua. Immaginate per quanti giorni questa signora potrebbe tenere aperto il rubinetto senza preoccuparsi dello spreco se ognuno di noi, di tanto in tanto, rinunciasse a una bistecca.

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Proprio gli allevamenti intensivi sono tra le cause dei problemi di inquinamento delle nostre acque a causa dei fertilizzanti che arrivano a penetrare nelle falde acquifere. L’anno scorso, nel Comune di Monreale alle porte di Palermo, sono stati i cittadini ad allertare le forze dell’ordine, perché dai rubinetti usciva acqua mista a liquami maleodoranti. Le condutture sono state chiuse su ordinanza del sindaco e i disagi sono proseguiti per giorni. I cittadini sono stanchi di non poter utilizzare l’acqua corrente nemmeno per le attività casalinghe e informare la popolazione su come il consumo di alcuni alimenti, in particolare di carne, provoca dei danni enorme all’ambiente, aiuterebbe a migliorare la situazione.

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