Chi sa? Forse questo sarà finalmente un governo moderno.
A colloquio con il premier incaricato nella serata di ieri, le tre principali associazioni ambientaliste italiane – Legambiente, Wwf e Greenpeace – si dicono tutte fiduciose perché Draghi è europeista e l’Unione Europea ha deciso per la svolta green. Insomma, sa cosa vuole l’Europa e l’Europa vuole la transizione ecologica. Proprio come dice il nome del nuovo dicastero che dovrebbe prendere il posto dell’Ambiente: un super ministero della Transizione ecologica che interagisca con gli altri ministeri, dallo Sviluppo economico all’Agricoltura, e alla cui guida gli ambientalisti hanno chiesto una persona competente e di alto profilo, dicendosi certi che Draghi saprà scegliere il nome giusto e che questo nome piacerà anche al Presidente della Repubblica.
E’ piaciuta alle associazioni, anche la dichiarazione di intenti con cui, raccontano, Draghi ha aperto l’incontro: il governo dovrà essere europeista, atlantista e ambientalista. Questo, dicono, li rassicura, su più punti di vista, perché non solo intende mettere al centro delle politiche l’ambiente ma anche perché questo governo sarà di stampo europeo e posto all’interno del Patto Atlantico. Draghi, dicono Legambiente Greenpeace e Wwf, ci ha fatto sentire in Europa. Il premier incaricato si sa è di poche parole, ma sembra aver toccato le corde giuste.
La prima buona notizia, ha annunciato la presidente del Wwf Italia Donatella Bianchi, “è che ci sarà un ministero della Transizione ecologica dove le competenze ambientali saranno ulteriormente rafforzate perché per guidare e gestire questa transizione sarà necessario un ministero forte autorevole e competente. Abbiamo chiesto al presidente incaricato, che si è dimostrato molto sensibile ai temi ambientali, di fare tutto quello che serve per rendere centrale l’ambiente nell’azione di governo nel momento in cui si sta varando il più grande piano di rilancio e resilienza del Paese: la transizione ecologica deve disegnare l’Italia del futuro, sostenibile sana e sicura”.
“Per fortuna Draghi è europeista e l’Europa ha deciso che la svolta si deve fare. Meno forte di quella che vorremmo, ma Draghi queste cose le farà non perché gliele chiediamo noi, ma le farà perché è europeista e l’Europa sta mettendo insieme un progetto ambientale e sociale che va nella direzione giusta”, dice Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia che parla di “un colloquio molto positivo. Draghi non parla moltissimo ma ha detto parole importanti”. Per Greenpeace, il primo scoglio che il governo Draghi dovrà affrontare sarà quello di “raddrizzare il Piano di ripresa e resilienza, oggi totalmente inadeguato a quello che serve, tenuto conto che assieme ai soldi e all’indicazione di spendere il 37% sulla lotta alla crisi climatica, l’Ue a dicembre ha anche alzato gli obiettivi per il 2030. Il nostro Piano è già in ritardo rispetto ai vecchi obiettivi e adesso dobbiamo correre”.
Draghi, racconta il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, “ci ha fatto sentire in Europa: ha detto che il suo governo sarà europeista, atlantista e che metterà al centro delle politiche l’ambiente, in maniera trasversale. E detto da una persona della statura di Mario Draghi ci ha aperto il cuore. Questo ci rassicura. Ci ha ascoltato come non è mai successo prima e con un’attenzione europea che raramente si vede nel nostro Paese. Sono fiducioso”.
Tra le richieste portate da Legambiente al tavolo delle consultazioni con il premier incaricato, oltre alla revisione del Pnrr, un decreto Semplificazioni sull’economia verde; il rafforzamento dei controlli pubblici del sistema nazionale di protezione ambientale; l’aggiornamento professionale delle strutture pubbliche ministeriali, regionali e comunali; riforma fiscale per togliere gradualmente i sussidi ambientalmente dannosi alle fossili. “E un’ultima cosa decisiva: dobbiamo aprire centinaia, forse migliaia di cantieri e dobbiamo evitare che l’Italia diventi territorio di guerra civile diffusa. Per farlo serve una legge nazionale sul dibattito pubblico, come la legge sul débat public francese, per fare in modo che tutti gli impianti e le infrastrutture si facciano condividendo le scelte con i territori. Serve questa legge”.