La pandemia da Covid 19 rischia di trasformarsi in un disastro ambientale a causa delle mascherine utilizzate e non smaltite. Infatti ben 1,56 miliardi di mascherine hanno inondato gli oceani nel 2020. Se non correttamente smaltiti, questi dispositivi possono diventare un rischio per l’ambiente, come dimostra il dato riportato nell’ultimo rapporto di OceansAsia. Lo sottolinea il team dei ‘dottori anti-bufale’ di Dottoremaeveroche, il sito della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), in una nuova scheda pubblicata per la Giornata mondiale dell’ambiente.
Al centro dell’attenzione le microplastiche: particelle piccolissime che derivano dalla degradazione delle fibre di plastica, prevalentemente polipropilene, di cui mascherine e guanti sono composti. Ma anche da trattamenti industriali e dalle nostre attività quotidiane, come il lavaggio dei tessuti sintetici e le microsfere dei dentifrici, dei cosmetici e dei saponi. Mangiate dai pesci e dalle altre creature marine, finiscono direttamente nella nostra catena alimentare. Secondo una recente analisi patrocinata dal Wwf – ricordano i medici – ciascuno di noi arriverebbe a ingerire in media cinque grammi di plastica ogni settimana, l’equivalente del peso di una carta di credito.
Dalla degradazione delle mascherine derivano poi sostanze come bisfenolo A, metalli pesanti e microrganismi patogeni, che accumulandosi potrebbero avere impatti negativi indiretti su piante, animali e esseri umani. E, ancora, agenti chimici – come l’acido perfluoroottanoico (più noto come Pfoa), vietato a livello globale con la Conferenza di Stoccolma appunto per la tossicità e la capacità di dispersione, con l’unica eccezione per il trattamento di prodotti sanitari – che, quando vengono inceneriti, rilasciano inquinanti molto tossici e pericolosi come le diossine. Queste sostanze, come conferma anche il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, se disperse nell’ambiente o gestite in maniera scorretta a fine vita, sono causa di un inquinamento molto esteso e pericoloso: possono contaminare falde, suolo e aria.
Un problema non da poco – sottolineano i medici – se pensiamo che l’umanità sta utilizzando 129 miliardi di mascherine usa e getta ogni mese. Soltanto in Italia, si stima che la quantità di rifiuti provenienti dai dispositivi di sicurezza ogni giorno sia di circa 410 tonnellate.
Cosa fare, dunque, visto che i dispositivi di sicurezza non possono essere riciclati, per contenere il rischio di diffusione del virus e per via dei materiali compositi con cui vengono realizzati e visto che il loro utilizzo sarà ancora per molto tempo indispensabile per proteggerci dal virus? L’unica soluzione, conclude il team di Dottoremaeveroche, è smaltirle correttamente. I rifiuti come quelli derivanti dai dispositivi per la gestione dei pazienti Covid-19, quindi ricoverati in strutture sanitarie, sono considerati rifiuti pericolosi a rischio infettivo e devono essere smaltiti in impianti autorizzati.
Le mascherine e i guanti a cui ricorre la popolazione tutti i giorni vengono invece considerati rifiuti urbani e l’Istituto superiore di sanità suggerisce di smaltirli nei contenitori destinati all’indifferenziato.
Quando invece non vengono raccolte e smaltite correttamente, le mascherine possono essere trasportate dalla terra all’acqua dolce e agli ambienti marini tramite le correnti dei fiumi, quelle oceaniche, il vento e gli animali (quando vengono intrappolati oppure quando le ingeriscono). E il miliardo e mezzo di mascherine che finisce a bagno nell’oceano è solo la punta dell’iceberg: le tonnellate di mascherine (tra le 4.680 e le 6.240) sono solo una piccola frazione degli 8-12 milioni di tonnellate di plastica che entrano nei nostri oceani ogni anno. L’invito degli esperti, quindi, è non solo quello di smaltire le mascherine in modo responsabile ma anche di ridurre il consumo complessivo di plastica.
“Non c’è altro modo di considerare la salute se non a livello globale – commenta il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli – Ogni nostra azione ha conseguenze non solo direttamente sulla nostra salute, ma anche su quella dell’ambiente e degli animali che entrano nella catena alimentare: è l’approccio One Health, che considera la salute in tutte le sue implicazioni. Dobbiamo essere responsabili, perché la nostra salute è strettamente connessa con la salute dell’ambiente e dell’intero pianeta”.
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