Siamo a un punto di non ritorno: i nostri mari rischiano di far scomparire numerosi territori a causa del loro innalzamento per motivi climatici.
Incrementi “continui e irreversibili” dell’aumento del livello del mare sono “fonte di preoccupazione” per le conseguenze sulle coste.
Lo dice il primo studio sul monitoraggio degli impatti dei cambiamenti climatici in Italia, presentato dal Sistema nazionale protezione ambientale, che avverte: “Particolare attenzione merita il caso di Venezia”, dove contemporaneamente si alza il livello del mare e si abbassa quello del terreno.
I numeri di Venezia – A Venezia, in particolare, è in atto un combinato disposto di aumento del livello del mare e abbassamento del terreno: il tasso di crescita medio è di 2,53 millimetri all’anno nel lungo periodo (1872-2019) ma il valore raddoppia e passa a 5,34 millimetri all’anno prendendo in esame l’ultimo periodo (1993-2019).
Per quanto riguarda le variazioni del livello del mare, gli incrementi, dell’ordine di pochi millimetri l’anno (valori medi del trend pari a circa 2,2 mm/anno con picchi nel Mare Adriatico di circa 3 mm/anno), sono comunque continui e irreversibili secondo lo studio.
Deglaciazione per temperature elevate – “L’ambiente alpino presenta evidenti tendenze alla deglaciazione – prosegue lo studio – a causa dell’effetto combinato delle elevate temperature estive e della riduzione delle precipitazioni invernali, si registra una perdita costante di massa (caso pilota su Valle d’Aosta e Lombardia), con una media annua pari a oltre un metro di acqua equivalente dal 1995 al 2019: si va da un minimo di 19 metri di acqua equivalente per il ghiacciaio del Basodino fra Piemonte e Svizzera al massimo di quasi 41 metri per il ghiacciaio di Careser, in Trentino Alto Adige”.
A questi fenomeni si aggiunge “una chiara tendenza al degrado del permafrost. L’analisi di due siti pilota regionali (Valle d’Aosta e Piemonte) evidenzia un riscaldamento medio di più 0,15 gradi centigradi ogni 10 anni con un’elevata probabilità di ‘degradazione completa’ entro il 2040 nel sito piemontese”.
La situazione del mare – Per il mare “la situazione mostra segnali inequivocabili: all’aumento della temperatura del mare corrisponde già una significativa variazione della distribuzione delle specie, con un aumento della pesca nei mari italiani di quelle che prediligono temperature elevate (acciuga, sardinella, triglia, mazzancolle e gambero rosa), che si stanno diffondendo sempre più a nord nei mari italiani. Penalizzate le specie di grandi dimensioni, talvolta di grande interesse commerciale, come il merluzzo, il cantaro, il branzino, lo sgombro e la palamita”.
Conseguenze sul ciclo di crescita e riproduttivo – Il fenomeno è fotografato dall’indicatore ‘temperatura media della catture’ cresciuta di oltre un grado negli ultimi 30 anni; un fenomeno più marcato nei mari del sud, nel Tirreno e mar Ligure rispetto all’Adriatico.
Mentre “stress idrico per le colture (mais, erba medica e vite) e le specie vegetali (ambienti naturali tipici del Friuli) si riscontrano nei casi pilota di Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia, dove la carenza può comportare sul lungo periodo possibili conseguenze sul ciclo di crescita e riproduttivo, e una consistente perdita produttiva con evidenti ricadute economiche”.