Climate Pride: in migliaia a Roma per la giustizia climatica

Per le strade di Roma hanno sfilato gli attivisti climatici per chiedere giustizia climatica e un futuro sostenibile

Climate Pride a Roma - In migliaia per il cambiamento climatico - ph. Alessia de Antoniis
Climate Pride - In migliaia a Roma per la giustizia climatica - ph. Alessia de Antoniis
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17 Novembre 2024 - 14.10


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di Alessia de Antoniis

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Al grido di: ‘che cosa vogliamo? Giustizia climatica! E quando la vogliamo? Ora!’, si è svolto sabato 16 a Roma il Climate Pride, manifestazione che ha visto manifestare migliaia di persone chiedere lo stop della dittatura dei combustibili fossili e la transizione ecologica.

“La giustizia climatica non può che essere accompagnata dalla garanzia di una giustizia sociale: contro chi vorrebbe aumentare il divario tra i paesi e mantenere in piedi il ricatto tra lavoro e transizione ecologica è necessario incrociare le nostre istanze, cercare alleanze e convergenze tra i movimenti. È ormai indispensabile capovolgere il sistema, interrompere l’azione antropica forsennata che devasta l’ambiente così come le nostre vite. Chiamiamo a raccolta alleate per costruire nuove connessioni verso un mondo che sia realmente sostenibile per tutte le specie, in un’ottica transfemminista e anticoloniale, contro ogni guerra. Ci mobilitiamo durante la COP29, che per il secondo anno di fila si tiene in un paese che non solo fonda la sua economia sulla produzione di combustibili fossili ma mira ad aumentarla di oltre il 30% nel prossimo decennio, l’Azerbaijan”. Queste le richieste degli attivisti del Climate Pride.

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Chi scrive ammette di non comprendere il nesso tra il clima e il transfemminismo.

Il Climate Pride, partito da piazza Vittorio,  è giunto fino all’Ex SNIA, simbolo delle lotte ambientaliste, oggi minacciata da un mastodontico progetto di cementificazione da 280.000 mc. Un’operazione immobiliare tra Roma Capitale e investitori privati che prevede la costruzione di uno studentato e servizi universitari. L’obiettivo è difendere il Lago Bullicante e il suo ecosistema, reclamando l’esproprio dell’area per creare un parco naturalistico.

Del Climate Pride e delle dichiarazione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Cop 29 che si sta svolgendo a Baku, ne abbiamo parlato con Irene De Marco, tra le coordinatrici della manifestazione.

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La Meloni a Baku sembra aver fatto un discorso di buonsenso. Quindi perché siamo in piazza?

Il problema del discorso della Meloni credo che sia continuare a parlare di ideologia per la crisi climatica quando non si tratta di un’ideologia. La crisi climatica è qui, è ora, la viviamo sulla nostra pelle ogni giorno. L’abbiamo vista a Valencia, in Emilia Romagna, la stiamo vedendo a Catania, ma sono anni che continuiamo a vederla, che continua a distruggere le nostre case, il nostro lavoro, anche le nostre vite. Ci sono migliaia di morti ogni anno a causa della crisi climatica. Nessuno è al sicuro. Pensiamo di esserlo, ma credo che Valencia abbia dimostrato che anche le città del nord del mondo, le città teoricamente più ricche, possono soffrire e subire una crisi umanitaria vera.

A Baku si sta parlando di una tecnologia, la CCS – Carbon Capture and Storage – che sembrerebbe essere di grande aiuto per la riduzione di CO2, perché cattura l’anidride carbonica nell’aria. È una svolta?

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Ci piace parlare di false soluzioni quando si parla di recupero e di stoccaggio di CO2. Uno dei grandi promotori della CSS è Eni, che sappiamo che ha interessi nel continuare a produrre e lavorare con i fossili. C’è un discorso di potere e di profitto che continua a girare intorno allo stoccaggio del carbonio, ma anche al mercato dei crediti di carbonio, che è un mercato che distrugge in realtà intere popolazioni, interi villaggi nei paesi del sud globale, in Sud America e in Africa. Si può pensare a Uganda o Tanzania. Bisogna smettere di parlare di queste soluzioni come delle soluzioni reali alla crisi climatica: sono dei palliativi. La tecnologia CSS in realtà stoccherebbe una quantità di CO2 infinitesimale rispetto a quella che produciamo ogni anno.

Si continua a parlare, lo ha fatto anche la Meloni nel suo discorso, di nucleare – non da fissione, come ora, ma da fusione – che consentirebbe di avere abbastanza energia pulita così da “trasformare l’energia da arma geopolitica a risorsa”. Questo punto dell’intervento sembra giusto…

Sì, ma è una tecnologia che probabilmente entrerò in funzione tra 30-40 anni, se tutto va bene. Parlare di nucleare, dopo che si è fatto un referendum che ha detto di no al nucleare, per me personalmente continua ad essere qualcosa di antidemocratico. Continuare a parlare di nucleare quando sappiamo i rischi del nucleare, quando ci sono delle centrali nucleari che vengono chiuse in Europa, ormai non utili perché c’è altro tipo di energia che può essere utilizzata e che è utile, non ha senso. Noi pensiamo che non sia una soluzione e comunque non è una soluzione adesso.

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In Germania, ad esempio, è vero che sono state chiuse tre centrali, ma è anche vero che contestualmente è aumentato il consumo di carbone. Avete un’idea di come andare a supplire il bisogno di energia delle industrie energivore che sono non solo il siderurgico, ma anche il tecnologico e l’intelligenza artificiale, che avrà bisogno, a parte di una quantità enorme di acqua, ma anche di tanta energia?

Sì, sicuramente c’è bisogno di riconvertire il modo in cui produciamo energia, c’è sicuramente bisogno di riconvertire alcuni cicli produttivi, bisogna iniziare a de-finanziare alcune industrie, come quella bellica, che consuma tantissimo e crea disastri in tutto il mondo; non solo ambientali ma anche umanitari, come vediamo in Palestina in questo momento, ma anche in altre parti del mondo. Bisogna riconvertire, bisogna pensare a una transizione giusta, a dei metodi, a delle tecnologie di produzione dell’energia che siano giuste ed eque per tutti.

Da qua al 2030 supereremo gli 8,5 miliardi di popolazione, servirà molta più energia. Alcune forme alternative, come l’eolico, non garantiscono una continuità di produzione, per cui rischiamo un gap tra produzione e consumo. Avete idea di come risolvere un problema di una società mondiale che sta crescendo velocemente?

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Pensiamo che la soluzione, che non è una soluzione chiaramente a lungo termine, sia un cambiamento culturale, un cambiamento del modo di consumare l’energia, anche del consumo di tutti i giorni; ma non può essere responsabilità solo individuale: deve essere una responsabilità assunta dai governi, dagli stati, per cambiare un sistema di consumo fallimentare che sta creando dei disastri e che ci ha portato a un punto di non ritorno molto difficile. C’è sicuramente bisogno di energia in questo momento, bisogna continuare a fare ricerca e soprattutto far sì che i brevetti delle nuove tecnologie siano gratuiti e disponibili per tutti e tutte, anche ai paesi più poveri.

Si è tornati alla bellissima filosofia antropocentrica di memoria rinascimentale. La Meloni ha detto a Baku che dobbiamo tornare a mettere l’uomo al centro. Non trovate sia affascinante come pensiero?

Sicuramente è un pensiero che affascina, è un pensiero molto illuminista, un pensiero che ha creato tantissima arte, tantissima bellezza nel mondo; ma, purtroppo e per fortuna, non siamo le uniche forme di vita su questo pianeta, ci sono gli animali, c’è la vegetazione, c’è la biodiversità, ci sono funghi, batteri e questa mobilitazione è proprio questo che vuole portare in piazza: la diversità del pianeta. Non dobbiamo pensare di essere le uniche persone a dover sopravvivere, devono sopravvivere anche gli ecosistemi; i batteri esistono da milioni di anni e non sarà l’estinzione dell’uomo a far sì che la Terra esploda. Quello che dobbiamo pensare è un modo per convivere con il nostro pianeta senza distruggerlo; un modo che non distrugga le specie che lo abitano insieme a noi.

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Piccolo appunto sulla conferenza Onu sul clima in corso in Azerbaijan: sono assenti i capi di Stato di Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Germania, Brasile. Assente anche la Von der Leyen. I partecipanti sono dimezzati – da più di 90mila dello scorso anno a circa 50mila -,  i lobbisti delle multinazionali legate ai combustibili fossili sono 1773 più altri 50 a favore della tecnologia CSS. La Cop 29 si svolge a Baku, città fondata sul petrolio, e la Cop 28 si era svolta a Dubai. Vista da lontano, si ha la sensazione che parlare di cambiamento climatico in certi posti, con certi interlocutori, sia come riunirsi per parlare di trasfusioni ed emergenza sangue nel castello di Dracula. Staranno parlando di climate changing o di greenwashing?

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